Donne dell'anima mia


Non abbandonare mai il coraggio dei sogni, in ogni età e condizione sociale. Non tacere, anzi parlare e scrivere tanto, ma alzando la voce, ché le rivoluzioni non si fanno con la gentilezza.
Il femminismo secondo Isabel Allende è un corale abbraccio alle “Donne dell’anima mia”, protagoniste dell’ultimo libro della scrittrice cilena, edito in Italia da Feltrinelli. Alle soglie degli ottanta, Isabel è una signora radiosa e precisa subito che è merito dell’amore: a compiere il miracolo è stato il terzo e attuale marito, Roger, uno dei pochi uomini, insieme a Ramon (compagno della madre, chiamato con affetto familiare zio) e nonno Augustin, che in questo libro divide la scena con un universo di donne diversissime tra loro e ugualmente meravigliose.
La scrittrice torna ad ascoltare la voce degli spiriti amati – dall’amica Carmen Balcells (l’agente a cui si deve il successo internazionale di “La casa de los espíritus”), alla figlia Paula e la madre Panchita.
“Si può fare tutto con grazia e senza suscitare tanto clamore” era solita ripetere Panchita, che sognava di diventare artista ma aveva rinunciato per essere moglie e madre. Un investimento sentimentale sbagliato, finito con un divorzio e il ritorno nella famiglia d’origine, in un sistema patriarcale rigidissimo.
Tra lei e Isabel fu un eterno testa a testa: la madre preoccupata che la figlia, con quel carattere ribelle e la voglia di costruire un altro mondo possibile, si facesse molto male. Come ogni madre, la sua era una lancinante paura che Isabel pagasse cara la sua battaglia. Quella paura la rendeva la rendeva ben più conservatrice del padre Augustin, convinto che il matrimonio fosse un affare conveniente per gli uomini, destinati alla carriera e al comando, e pessimo per le donne, le quali con l’anello nuziale al dito si sarebbero trasformate in serve domestiche. Alla figlia consigliò fin sull’altare di scappare prima del sì, ma era convinto che una donna dovesse avere sempre, se non lo stato civile, i raffinati modi della “signora”.
Dura essere donna nella famiglia Allende, ma Isabel sa di essere una privilegiata (anche se nel libro non è mai nominato il presidente Salvador) e per questo nella sua casa degli spiriti ha disseminato sassolini sin da ragazza, ostinandosi a lasciare in giro, con finta distrazione, articoli sul movimento e persino opere scandalose come “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir, che tata Augustin leggeva di nascosto per dichiararsi pubblicamente infastidito da quella strampalata nipote le cui opinioni erano ritenute inutili. Fuori dai ruoli di moglie e madre, non verrai mai presa sul serio – era questo il mantra ripetuto alle femmine Allende. Panchita che disegna benissimo ma è snobbata, Isabel insignita del premio letterario nazionale cileno e definita “scribacchina” da un collega inviperito di vedere sul podio una donna. Quando all’arrogante romanziere (famoso sì, ma la fantastica Allende dice maliziosamente di non ricordarne il nome…) Carmen Balcells chiese se avesse mai letto un libro della sua autrice, lui replicò sdegnoso che neanche morto lo avrebbe fatto. In caso contrario, il rischio è che la sedicente scrittrice si monti la testa e non stia buona al posto suo, ovvero in seconda fila, dietro quella degli uomini. Il termine cileno per descrivere la scena è racchiuso nel verbo chaquetear, tradotto in italiano è quasi una scena teatrale: afferrare per il lembo della giacca uno che si dà arie e punirlo facendolo crollare a terra. Allende ha provato sulla pelle che se l’impudente di turno è una donna, lì si attacca con una speciale cattiveria, si picchia più forte per annientarla.
Il magnetismo delle pagine di “Donne dell’anima mia” è nel potere della parola e della scrittura, armi invincibili di ogni rinnovamento. “Io potevo scrivere!”, scopre con gioia l’autrice cilena negli anni Sessanta, comprendendo che quell’opportunità, negata alla madre, avrebbe liberato lei.
A chi non sia femminista vien subito voglia di unirsi a Isabel e le sue sorelle. Ragazze come Olga Murray, rumena naturalizzata americana, promotrice della Nepal Youth Foundation, associazione grazie alla quale il governo dello stato asiatico ha messo fuorilegge il kamlaris, tratta delle bambine vendute come schiave o prostitute solo perché nate femmine in famiglie povere. O la cara Carmen, che dalla foto sulla scrivania di Isabel le ricorda ogni giorno i piccoli esercizi per un’esistenza felice: non permettere a nessuno di intromettersi nel tuo lavoro e ficcare il naso nei tuoi conti bancari; tratta i tuoi figli come principi; scrivi quello che vuoi, tanto sarai criticata comunque, perché alle donne il successo non si perdona.
Carmen consigliava il matrimonio, convinta che un marito, pure il più stupido, fa fare bella figura. Isabel aveva già provveduto arrivando a quota tre consorti, l’ultimo dei quali è stato però una resa, la rinuncia all’ipotesi di un legame elettrizzante da eterni fidanzati. Mamma Panchita glielo aveva chiesto sul letto di morte, preoccupata che la figlia invecchiasse da sola, ma la scrittrice aveva osservato che le nozze avrebbero mutato un amante perfetto in un marito imperfetto. Panchita era però sicura del fatto suo: “Gli amanti non durano, un marito è una preda in catene”. Lei lo sapeva bene, avendo sopportato per insicurezza, da sposa arrabbiata eppure sottomessa, il compagno Ramon, che definiva pieno di difetti ma fu padre impeccabile per sua figlia, abbandonata da quello biologico.
Nel caso di Roger, lungi dal classificarlo uomo oggetto o buon partito, Isabel ha ceduto all’amore e conferma alle sorelle che davvero innamorarsi fa ringiovanire. Per natura incline alle passioni impetuose – di pazzie per gli uomini ne ha fatte tante senza sensi di colpa – la signora Allende si sente trent’anni di meno, ogni stagione segnata dal calendario le sembra una menzogna.
Il femminismo non ha mai cozzato con il desiderio di essere bella e guardata dai maschi e oggi è una graduale pacificazione con se stessa. Accetta l’inevitabile trasparenza sessuale negli occhi degli uomini - che è fatale condanna dell’età - ma ciò che il tempo toglie è costantemente rimpolpato dall’immaginazione. E, ovvio, dalle pillole ormonali. Occorre venire a patti con i ritmi imposti dalla stanchezza del corpo - di certo aiuta non poco continuare a fare l’amore con allegria, avere un marito che la vede bellissima.
Roger è un formidabile stimolatore di endorfine, ma cosa sarebbe accaduto se una romantica come lei non avesse trovato l’amore? La parità tra individui non annulla le differenze genetiche tra maschi e femmine. Isabel ricorda che le donne, se non sono innamorate, dopo una certa età perdono interesse per il sesso. Per questo aspetto compatisce gli uomini, ossessionati a scansione di tre-quattro minuti da voglie fisiche pressanti, anche quando l’erezione è ormai un ricordo. Poi però il femminismo risale prepotente, a farla indignare se una coppia composta da un sessantenne disfatto e una bellissima ventenne è socialmente approvata, mentre il contrario ha e avrà sempre una sfumatura di perversione.
In questo libro lo sguardo sulle debolezze di uomini e donne è empatico, sensibile. Niente giudizi né barricate divisive. “Il patriarcato è di pietra, il femminismo è fluido, come l’oceano si muove a onde, correnti, maree e talvolta tempeste furiose”. Allende lotta contro l’idea che le donne debbano vivere piacendo a tutti e non dispiacendo a nessuno. Ci dicono che se sorridiamo siamo più carine? No, invece siamo belle quando non restiamo in silenzio – e non importa se le nostre parole saranno rabbiose.
Ma non è una guerra di generi. Si cambia insieme, ognuno per la sua parte. Isabel ha educato il figlio Nicolas ad essere per una donna non un avversario ma un buon compagno. Lo ha abituato a rifarsi i letti e a lavare i piatti. Per la figlia Paula, invece, voleva che crescesse senza paura. In questo libro ci sono tante gemme preziose – imprese straordinarie, sentimenti puri, donne splendenti. Ma si parla anche di violenza, non farlo sarebbe ipocrita e irrealistico. Un’altra grande scrittrice, la canadese Margaret Atwood, spiega così il germe di stupri e femminicidi: “Le donne hanno paura che gli uomini le uccidano. Gli uomini temono che le donne ridano di loro”. Assassini e stupratori sono i maschi incapaci di sopportare un rifiuto o il tradimento perché lo collegano a una collettiva derisione femminile dove l’uomo che non reagisce all’onta è una specie di debole zimbello. Come nella rubrica di Isabel Allende “Civilizza il tuo troglodita” sulla rivista femminile Paula, che nel 1967 faceva satira sul machismo e intanto squarciava veli su maternità, aborto, divorzio. Qualche lettrice le scriveva angosciata da quelle idee nuove, che stavano minando certi schemi familiari e di coppia infelici ma solidi e mai messi in discussione.
Sarà poco femminista, ma parlando di violenza Isabel Allende rivendica il dna protettivo che porta le donne a difendere la prole dai pericoli. I maschi producono testosterone e adrenalina, tendono a combattere o fuggire. Le femmine, guidate da estrogeni e ossitocina, allargano un cerchio attorno ai loro piccoli. Se si hanno figlie, non ci si illude: sappiamo che prima o poi vivranno situazioni sgradevoli perché sono donne, che rischieranno molestie e abusi.
La domanda definitiva del libro è: sapendo tutto questo, siamo felici di essere femmine? Elena, la colf honduregna di Isabel (emigrata irregolare, da vent’anni negli Usa senza aver imparato l’inglese e con il perenne spauracchio dell’espulsione), interrogata sulla possibilità di fare altro nella vita, le risponde che Dio l’ha fatta così e a lamentarsi non guadagna nulla. Al suo posto, forse, lo faranno le figlie e nipoti di questa generazione. Allende le elegge sue fiaccole, fiamme accese di cui lascerà eredità perché loro vivano anche per Elena e le altre, come Isabel ha vissuto per Panchita. 
Alle ragazze della sua anima, lei sussurra: Non spegnete quelle fiamme, completate il lavoro che noi, prossime alla fine, non riusciremo a portare a termine. Fate che il mondo un giorno sia migliore, per tutte e per tutti.

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