Capovilla legge Majakovskij


Questa mia recensione del reading di Pierpaolo Capovilla su Majakovskij è stata pubblicata oggi sul Quotidiano del Sud


REGGIO C. – “Ho sentito una cosa che mi fa incazzare. Ho sentito dire che il 25 aprile è un derby… e vorrei dire a questo ministro che il 25 aprile non è la Juventus. Oggi si ricorda la liberazione dai nazifascisti… che furono assassini… scrocconi e furfanti, sulle loro teste alzerò i tomi di tutti quanti i miei libri di partito!!”
Pierpaolo Capovilla celebra così a Reggio la festa della Liberazione, scagliando il potente anatema letterario di Vladimir Majakovskij, versi non gentilmente dedicati a negazionisti e fascisti. Il cantautore ha proposto il suo reading sul poeta della Rivoluzione d’Ottobre tra gli appuntamenti del festival di letture “Balenando in burrasca”, in corso al Castello Aragonese. La sua è una lettura sanguigna e senza risparmio di energie né emozioni – lo dice apertamente Capovilla, ammettendo quasi un’animosa possessione da parte dello spirito indomito del grande russo. Nel solco dello spettacolo già ideato da Carmelo Bene proprio su Majakovskij, anche qui, in un’evidente operazione di metaletteratura, le parole scorrono attraverso la mimica facciale, i cambi repentini di tono e una congestione fisica accentuata, che sottolinea i forti sentimenti espressi dal poeta. I temi del socialismo, la lotta operaia e l’amore si alternano nella selezione di testi (suddivisi da Capovilla in “eresie”), a cui gli spettatori non fanno mancare ascolto e partecipazione fino alla fine. Anche perché non si tratta di poesie romantiche, ma di lunghi poemi, lettere taglienti, viscerale verità. Dove si raccontano passione, morte, guerra, dittature. Ma Capovilla mantiene – peccando soltanto qua e là nella scansione delle parole, del resto non è un attore e il suo tributo è fieramente non d’accademia, ma istrionico nel senso più estremo del termine. L’ex leader di Teatro degli Orrori vuole essere eccessivo e non nasconde di perdere lacrime e fiato durante l’esecuzione. Stavolta non c’è musica di supporto, ma solo la proiezione della performance su un grande schermo alle spalle dell’artista e affiancato da altri due pannelli dove appaiono in loop esplosioni di colore e forme psichedeliche. Gli applausi non si fanno attendere dopo la sprezzante invettiva parodistica su un Mussolini mostruoso e cattivo, ma anche con le recitazioni torrenziali di “Il flauto di vertebre” e “Invece di una lettera”. Majakovskij affida a parole d’inarrestabile prepotenza gli ideali socialisti, la sua battaglia esistenziale con Dio e l’epitaffio ad amori spietati che si consumano ma lasciano la loro disperata impronta, per sempre. I sentimenti sono un’ostinata maledizione così come chi li ispira in modo fatale e non controllabile con la volontà, conducendo poi a una perpetua dannazione. Ed è una crudele alleanza tra sacro e profano a decretare la resa incondizionata del poeta: “Ho urlato che Dio non esiste/e lui ha tratto dal fondo dell'inferno/una donna che farebbe tremare una montagna/e mi ha comandato:/amala!”
Irruente nel parlare d’amore, commosso e tremante, nella data speciale del 25 aprile Capovilla chiama i compagni del pubblico per sferzare le menti e trasmettere un sacro fuoco che da Majakovskij fino a noi non vuole essere chiamato utopia, ma luminosa possibilità: “Noi sapevamo/da che parte andare/contro chi lottare./A noi/la dialettica/non l’ha insegnata Hegel”. La conclusione dello spettacolo è in memoria di Lorenzo “Orso” Orsetti, il giovane combattente rivoluzionario fiorentino ucciso dall’Isis in Siria. Per lui (ma anche per Gramsci e la detenzione di Ocalan) Capovilla recita “A piena voce”, a testimonianza che le parole che Majakovskij soffiò su una strada di “foglie secche” restano più vive che mai, come ogni vera arte: “Il mio verso arriverà/attraverso le schiene dei secoli/e attraverso le teste/dei poeti e dei governanti”.

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