BeatBox Beatles Revolution
Questa mia recensione al concerto dei BeatBox a Reggio Calabria è stata pubblicata sul Quotidiano del Sud
REGGIO C. – Nel cinquantesimo di “Abbey Road”, il mitico album dei Beatles edito il 26 settembre 1969, è ancor più cult l’atmosfera del tour di BeatBox, la tribute band dei Fab Four che sabato scorso ha fatto cantare e ballare l’Arena dello Stretto. Appuntamento imperdibile e da pienone del Reggio Live Fest firmato Ruggero Pegna, l’evento “Beatles Revolution” (citazione della visionaria ononima canzone) è stato animato da un gruppo di artisti scatenati e ispiratissimi: dalle colorate scenografie molto sixties, ai costumi, alla mimesi degli strumenti, oltre agli abiti d’epoca realizzati dalla stessa sartoria che vestì la band per la tourneé americana, tutto ha dato un contributo essenziale per ricreare la storia dei Beatles, che è anche iconica e fenomeno di costume.
REGGIO C. – Nel cinquantesimo di “Abbey Road”, il mitico album dei Beatles edito il 26 settembre 1969, è ancor più cult l’atmosfera del tour di BeatBox, la tribute band dei Fab Four che sabato scorso ha fatto cantare e ballare l’Arena dello Stretto. Appuntamento imperdibile e da pienone del Reggio Live Fest firmato Ruggero Pegna, l’evento “Beatles Revolution” (citazione della visionaria ononima canzone) è stato animato da un gruppo di artisti scatenati e ispiratissimi: dalle colorate scenografie molto sixties, ai costumi, alla mimesi degli strumenti, oltre agli abiti d’epoca realizzati dalla stessa sartoria che vestì la band per la tourneé americana, tutto ha dato un contributo essenziale per ricreare la storia dei Beatles, che è anche iconica e fenomeno di costume.
Nei panni dei ragazzi di Liverpool c’erano Mauro Sposito (John Lennon), Riccardo Bagnoli (Paul Mc Cartney), Filippo Caretti (George Harrison) e Federico Franchi (Ringo Starr). Bravi performer non solo musicali, come richiesto dal genere cover, ma anche nella rappresentazione dei personaggi, compresa una lodevole e non scontata pronuncia british, che ha consentito al pubblico di interagire con battimani e ritornelli in un clima giocoso e irresistibilmente vintage, dove vi può capitare di strizzare l’occhio a Paul che ammansisce George dopo un diverbio su ritardi di esecuzione, o ridere per una battuta scambiata tra John e Ringo. Insomma, una tranquilla serata tra amici un po’ matti da legare, con la suggestione di essere davvero lì insieme a quei quattro giovanotti che portarono il rock-beat alla grande popolarità.
Il materiale in scaletta era tanto. La carriera dei Beatles è ripercorsa con dedizione e ovviamente privilegiando i brani più celebri e per questo attesi dalla platea; non sarebbe stato male ascoltarne anche qualcuno di minor notorietà, a titolo di “chicca”, ad esempio il dissacrante e allucinato “Dig a Pony”, peraltro traccia di uno dei dischi beatlesiani per eccellenza, “Hey Jude”. Qualche pezzo da intenditori spunta qua e là (“Blackbird”, “Golden Slumber”), ma lo spettacolo ha le sue regole e soprattutto i suoi tempi. BeatBox tiene il ritmo alla perfezione affrontando ben quattro cambi, e nella lunga cavalcata musicale ci sono “She Loves You”, “Ticket to Ride”, “All we need is Love”, “Hello Goodbye”, “Sergent Pepper”, “Yellow Submarine”, “A hard day’s Night”. A completare la totale immersione nell’universo Beatles ci sono anche filmati originali raccolti dal regista Giorgio Verdelli, in cui ospiti e testimoni raccontano Lennon e compagni: la segretaria Freda Kelly, il primo batterista del gruppo Pete Best, ma anche cultori nostrani come Renzo Arbore e Peppino Di Capri.
La seconda parte del concerto è dedicata a versioni deluxe, da super-omaggio, di “Yesterday”, “Imagine” “Obladì Obladà” . Chiusura con una corale “Hey Jude” (ottima scelta… è il brano del cuore per chi scrive). In piena filosofia beatlesiana, il saluto della band è un invito ai sognatori di entrare, con la propria vita e le proprie azioni, nella storia dell’umanità. Ed è la vera rivoluzione: se crediamo nei nostri sogni, tutti siamo parte di una grande pagina scritta insieme e ritrovata nell’ultimo verso di una canzone.
Il materiale in scaletta era tanto. La carriera dei Beatles è ripercorsa con dedizione e ovviamente privilegiando i brani più celebri e per questo attesi dalla platea; non sarebbe stato male ascoltarne anche qualcuno di minor notorietà, a titolo di “chicca”, ad esempio il dissacrante e allucinato “Dig a Pony”, peraltro traccia di uno dei dischi beatlesiani per eccellenza, “Hey Jude”. Qualche pezzo da intenditori spunta qua e là (“Blackbird”, “Golden Slumber”), ma lo spettacolo ha le sue regole e soprattutto i suoi tempi. BeatBox tiene il ritmo alla perfezione affrontando ben quattro cambi, e nella lunga cavalcata musicale ci sono “She Loves You”, “Ticket to Ride”, “All we need is Love”, “Hello Goodbye”, “Sergent Pepper”, “Yellow Submarine”, “A hard day’s Night”. A completare la totale immersione nell’universo Beatles ci sono anche filmati originali raccolti dal regista Giorgio Verdelli, in cui ospiti e testimoni raccontano Lennon e compagni: la segretaria Freda Kelly, il primo batterista del gruppo Pete Best, ma anche cultori nostrani come Renzo Arbore e Peppino Di Capri.
La seconda parte del concerto è dedicata a versioni deluxe, da super-omaggio, di “Yesterday”, “Imagine” “Obladì Obladà” . Chiusura con una corale “Hey Jude” (ottima scelta… è il brano del cuore per chi scrive). In piena filosofia beatlesiana, il saluto della band è un invito ai sognatori di entrare, con la propria vita e le proprie azioni, nella storia dell’umanità. Ed è la vera rivoluzione: se crediamo nei nostri sogni, tutti siamo parte di una grande pagina scritta insieme e ritrovata nell’ultimo verso di una canzone.
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