Ho visto Maradona
Da “Ho visto Maradona” a “Maradona è morto, viva Maradona” ma stavolta un nuovo re da festeggiare non c’è. Il mitico calciatore argentino se ne va stroncato da un arresto cardiaco – a sessant’anni, una morte non da dio, da uomo piccolissimo di fronte alla spietata onnipotenza della malattia. Ieri sera, mentre a getto continuo fluivano ricordi, addii e celebrazioni, ho letto e sentito parole fuori posto, molte.
Il Maradona calciatore è stato un talento assoluto, genio sportivo per intuito e istinto naturale, fantasista inarrivabile. Umanamente è stato misero, corrotto, schiavo di vizi e biecamente materialista fino a calpestare se stesso e gli altri. Ho letto che per questo motivo non bisognerebbe ricordarlo in pompa magna (a Napoli il sindaco De Magistris ha indetto una giornata di lutto cittadino), che non è giusto magnificare un cocainomane, una persona accusata, tra l’altro, di violenza e molestie sessuali e che ha messo al mondo figli negati, la cui paternità gli è stata imposta dalla legge.
A chi demoliva così il generale cordoglio per uno straordinario protagonista del calcio mondiale, molti hanno replicato minimizzando i suoi errori: era in fondo umano, preda di debolezze come tutti. E comunque non ha fatto male a nessuno, come vivesse erano affari suoi.
Ecco, entrambe le due contrapposte riflessioni io non le condivido. E’ vero, Maradona non è stato una bella persona. Ma un calciatore quasi senza uguali nella storia, quello sì. Ed è per questo, per la sua fulgente carriera, che non può non essere celebrato se non con i toni plebiscitari e incondizionati di queste ore sui media. Goleador da annali, icona orgogliosa della sua Argentina ma anche dell’altrettanto amatissima Napoli. Quando apparve tra le figurine dei presepi (io ero bambina) fu la tangibile consacrazione. Subito dopo San Gennaro, a Napoli viene Maradona – e lì è rimasto per sempre. Ieri molti napoletani hanno perso emblema riscatto e appartenenza, altri hanno iniziato ad amare il calcio guardando il “pibe de oro” rendere incandescente il pallone. Tutto questo resta, e non c’entra niente con chi Maradona fosse fuori dal campo. Quindi sì, è doveroso parlare di lui non meno di come lo abbiamo fatto con Gigi Proietti, un altro grandissimo - che per una lieta coincidenza slegata dalla sua arte fu pure nel privato uomo magnifico.
Di Maradona, anzi, si parlerà più che di Proietti. Perché il calcio è terreno di divinità, tra le reti si diventa facilmente immortali, idolatrati. E l’agiografia è irreversibile – inutile opporre contestazioni.
Altra cosa è però dire che Maradona non abbia mai fatto male a nessuno, che la sua vita dissoluta fu una libera scelta e anzi beato lui che poteva permettersi ogni vizio. No, questo non è vero. E non è corretto dirlo: penso ai tanti padri fantasmi giustamente additati come abietti per non aver dato il cognome ai loro figli, ai tanti figli che sono stati segnati da questo dolore – non è colpa dei soli uomini comuni e non perché parliamo di un mostro sacro dello sport Maradona è condonabile da una simile vergogna.
Di male ne fece tanto – e con buona pace di ogni illazione di victim blaming aggiungo però che le sue scorribande furono lontane anni luce dai droga party dei vari Genovese. Perché Maradona fu una personaccia soprattutto verso se stesso.
La solita morale del "ha avuto successo troppo in fretta e gli ha dato alla testa" in questo caso è una sciocchezza. Mi viene in mente un unico paragone, Michael Jackson. Uomo colpevole di atti aberranti, ma ugualmente artista unico. Entrambi, Diego e Jacko, non si amavano ed hanno lottato sempre per essere diversi da ciò che gli era toccato per nascita. Vite tristissime, nonostante lusso e soldi a palate. La miseria, la vergogna della razza, il malcelato imbarazzo di chi ti schifa perché vieni da una baracca, non te li scrolli di dosso, mai. La saggezza popolare motteggia i cafoni arricchiti, quelli che “sempre cucuzza restano” – i più stronzi attribuiscono pure lombrosiani fetori a chi non nasce nella lustra bambagia dei privilegi. Questo mondo, anziché ammirare chi diventa grande dal nulla, non glielo perdona. Diego e Jacko avrebbero dovuto stare al loro posto, invece hanno osato essere gigantesche stelle.
L’immenso calciatore sentiva tutto il peso delle origini, l’etichetta anche genetica di non essere un ultracorpo – lo diventava eccome in campo, superando ogni limite di dotazione fisica. E’ stato ricchissimo e famoso, un dio in terra, ma ha avuto una vita orribile, il campione Diego Armando Maradona. Perché fallì nell’unica cosa che desiderava con tutte le forze, l’unica che lo avrebbe reso felice: distruggersi e diventare un altro (Michael Jackson lo fece schiarendo la pelle, trasformandosi in una maschera pur di annientare l’odiata “macchia umana” di cui scrive Philip Roth).
Maradona scappava da se stesso, in ogni modo possibile. Ha avuto bisogno di comprare le donne come oggetti, di oltraggiare le amanti e umiliare la moglie, di scacciare come cani i figli che generava con noncuranza. Ma era un miserabile do ut des: assediato per compiacenza interessata, non ha mai creduto alla sincerità di chi lo cercava, forse neppure all’attrattiva del proprio status ed ha ripagato con la stessa moneta, limitandosi a consumare ciò che gli veniva offerto.
Ha avuto bisogno della droga, estremo rifugio nell’abulia. Pensava di volare finalmente fino alla luce, invece si è bruciato come qualsiasi mortale. La malattia, i danni al corpo e al cervello, la solitudine e l’epilogo sportivo, sono stati un suicidio programmato, sfregi auto-inflitti per ribadire che mai si sarebbe accettato ed amato.
Mi fa molta pena la vicenda umana di Maradona, mi fa pensare a quanto forte e invincibile dovesse essere il suo personale disamore, il disprezzo che lo opprimeva come una perenne patina di rogna. Non fu capace di guarirlo il calcio, che era amore vero, purissimo, e avrebbe potuto emendare il resto. Il campo era il suo posto nel mondo, sapeva di essere una leggenda nel momento esatto in cui accadeva. Quando giocava era felice.
Il Maradona calciatore è stato un talento assoluto, genio sportivo per intuito e istinto naturale, fantasista inarrivabile. Umanamente è stato misero, corrotto, schiavo di vizi e biecamente materialista fino a calpestare se stesso e gli altri. Ho letto che per questo motivo non bisognerebbe ricordarlo in pompa magna (a Napoli il sindaco De Magistris ha indetto una giornata di lutto cittadino), che non è giusto magnificare un cocainomane, una persona accusata, tra l’altro, di violenza e molestie sessuali e che ha messo al mondo figli negati, la cui paternità gli è stata imposta dalla legge.
A chi demoliva così il generale cordoglio per uno straordinario protagonista del calcio mondiale, molti hanno replicato minimizzando i suoi errori: era in fondo umano, preda di debolezze come tutti. E comunque non ha fatto male a nessuno, come vivesse erano affari suoi.
Ecco, entrambe le due contrapposte riflessioni io non le condivido. E’ vero, Maradona non è stato una bella persona. Ma un calciatore quasi senza uguali nella storia, quello sì. Ed è per questo, per la sua fulgente carriera, che non può non essere celebrato se non con i toni plebiscitari e incondizionati di queste ore sui media. Goleador da annali, icona orgogliosa della sua Argentina ma anche dell’altrettanto amatissima Napoli. Quando apparve tra le figurine dei presepi (io ero bambina) fu la tangibile consacrazione. Subito dopo San Gennaro, a Napoli viene Maradona – e lì è rimasto per sempre. Ieri molti napoletani hanno perso emblema riscatto e appartenenza, altri hanno iniziato ad amare il calcio guardando il “pibe de oro” rendere incandescente il pallone. Tutto questo resta, e non c’entra niente con chi Maradona fosse fuori dal campo. Quindi sì, è doveroso parlare di lui non meno di come lo abbiamo fatto con Gigi Proietti, un altro grandissimo - che per una lieta coincidenza slegata dalla sua arte fu pure nel privato uomo magnifico.
Di Maradona, anzi, si parlerà più che di Proietti. Perché il calcio è terreno di divinità, tra le reti si diventa facilmente immortali, idolatrati. E l’agiografia è irreversibile – inutile opporre contestazioni.
Altra cosa è però dire che Maradona non abbia mai fatto male a nessuno, che la sua vita dissoluta fu una libera scelta e anzi beato lui che poteva permettersi ogni vizio. No, questo non è vero. E non è corretto dirlo: penso ai tanti padri fantasmi giustamente additati come abietti per non aver dato il cognome ai loro figli, ai tanti figli che sono stati segnati da questo dolore – non è colpa dei soli uomini comuni e non perché parliamo di un mostro sacro dello sport Maradona è condonabile da una simile vergogna.
Di male ne fece tanto – e con buona pace di ogni illazione di victim blaming aggiungo però che le sue scorribande furono lontane anni luce dai droga party dei vari Genovese. Perché Maradona fu una personaccia soprattutto verso se stesso.
La solita morale del "ha avuto successo troppo in fretta e gli ha dato alla testa" in questo caso è una sciocchezza. Mi viene in mente un unico paragone, Michael Jackson. Uomo colpevole di atti aberranti, ma ugualmente artista unico. Entrambi, Diego e Jacko, non si amavano ed hanno lottato sempre per essere diversi da ciò che gli era toccato per nascita. Vite tristissime, nonostante lusso e soldi a palate. La miseria, la vergogna della razza, il malcelato imbarazzo di chi ti schifa perché vieni da una baracca, non te li scrolli di dosso, mai. La saggezza popolare motteggia i cafoni arricchiti, quelli che “sempre cucuzza restano” – i più stronzi attribuiscono pure lombrosiani fetori a chi non nasce nella lustra bambagia dei privilegi. Questo mondo, anziché ammirare chi diventa grande dal nulla, non glielo perdona. Diego e Jacko avrebbero dovuto stare al loro posto, invece hanno osato essere gigantesche stelle.
L’immenso calciatore sentiva tutto il peso delle origini, l’etichetta anche genetica di non essere un ultracorpo – lo diventava eccome in campo, superando ogni limite di dotazione fisica. E’ stato ricchissimo e famoso, un dio in terra, ma ha avuto una vita orribile, il campione Diego Armando Maradona. Perché fallì nell’unica cosa che desiderava con tutte le forze, l’unica che lo avrebbe reso felice: distruggersi e diventare un altro (Michael Jackson lo fece schiarendo la pelle, trasformandosi in una maschera pur di annientare l’odiata “macchia umana” di cui scrive Philip Roth).
Maradona scappava da se stesso, in ogni modo possibile. Ha avuto bisogno di comprare le donne come oggetti, di oltraggiare le amanti e umiliare la moglie, di scacciare come cani i figli che generava con noncuranza. Ma era un miserabile do ut des: assediato per compiacenza interessata, non ha mai creduto alla sincerità di chi lo cercava, forse neppure all’attrattiva del proprio status ed ha ripagato con la stessa moneta, limitandosi a consumare ciò che gli veniva offerto.
Ha avuto bisogno della droga, estremo rifugio nell’abulia. Pensava di volare finalmente fino alla luce, invece si è bruciato come qualsiasi mortale. La malattia, i danni al corpo e al cervello, la solitudine e l’epilogo sportivo, sono stati un suicidio programmato, sfregi auto-inflitti per ribadire che mai si sarebbe accettato ed amato.
Mi fa molta pena la vicenda umana di Maradona, mi fa pensare a quanto forte e invincibile dovesse essere il suo personale disamore, il disprezzo che lo opprimeva come una perenne patina di rogna. Non fu capace di guarirlo il calcio, che era amore vero, purissimo, e avrebbe potuto emendare il resto. Il campo era il suo posto nel mondo, sapeva di essere una leggenda nel momento esatto in cui accadeva. Quando giocava era felice.
Ma, incredibilmente, un dono così raro e prezioso non è bastato a salvarlo.
I suoi eccessi, il doping e la coca, non ne fanno un modello sportivo da proporre ai giovani. Ma la sua gente – gli argentini, i napoletani – lo osannava come simbolo di rivalsa sociale (sbruffone di gesti istrionici, spendeva e spandeva anche per liberalità e fu generosissimo con gli ultimi, i bambini, gli ammalati e ricambio' sempre il grande sentimento dei tifosi). Non ha mai dimenticato da dove arrivava, era nemico dei potenti imperialisti e subiva il fascino dei rivoluzionari come Castro e Chavez - ma si contaminò anche con l'anima nera di Napoli, la camorra,
La sua gente lo amava veramente, non per i goal spaziali ma per quello che lui era. Purtroppo era proprio questo che Maradona voleva cancellare: ecco perché tutto quell’enorme amore non è servito a niente.
iflessioni io non le condivido
RispondiEliminaUn uomo spesso pensa di essere in controllo di se stesso, quando in realtà è in controllo di qualcosa; mentre la sua mente persegue un obiettivo, il suo cuore lo attira sottilmente verso un altro. È esattamente la stessa cosa con un attore di https://cineblog.page/ cinema.
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