Franco Arminio poeta pop nel mirino degli hater

Questo mio articolo su Franco Arminio e i social è stato pubblicato sul Quotidiano del Sud







Franco Arminio si offre lettore d’eccezione per i follower che volessero inviargli poesie, promettendo di rispondere a tutti e postare sui suoi social i versi che più lo colpiranno. Due giorni di contest che totalizzano circa ottocento mail, e subito gli strali della poesia accademica tornano a scagliarsi contro il paesologo. Facebook e Instagram, sedi di quella che alcuni colleghi avevano definito conversione socialite del cantore di Euterpe, negli ultimi mesi hanno visto Arminio nel mirino degli hater – in particolare dopo una bucolica ammissione di passeggiare nei boschi senza mascherina (tanto era bastato per bollarlo come negazionista). E adesso questo paterno sdoganamento dei poeti dilettanti fa storcere il naso a molti esponenti della società delle lettere avvezzi a blaterare on line. Arte incompresa o esercizi amatoriali della domenica? Perché tra i componimenti recapitati ad Arminio c’è roba come “Schiaffeggiami/Pisciami in faccia/Conquistami/Tienimi a te” (autrice Maria Roberta Strazzella) o “Io per esempio/Sono fatto di acqua/Di mare/Il naso di mio padre/Carta di liberi/E vecchie lenzuola a righe/Bianche e rosse” di tal Luca Cassano, che inventa versi prendendo spunto da parole indicate dagli amici.
L’autore di “Chiedi la strada agli alberi” (raccolta poetica da record con più di 40.000 copie vendute), che per leggere e commentare tutte le letterine ha trascorso notti bianche, difende gli appassionati verseggiatori: «Mi hanno scritto soprattutto giovani, le loro vite che non conosco mi ispirano simpatia. Certo, ci sono poesie ingenue, ma io ho risposto sempre con la massima sincerità e dando qualche piccolo consiglio. Non aspirano a fare i poeti, è gente che parla soprattutto di sentimenti, d’amore… Male non fanno. Credo che sia meglio impiegare il tempo libero a scrivere versi anziché occuparsi di cose inutili».
Ma facciamo un passo indietro. Franco Arminio, autore apprezzato dalla critica da quarant’anni, lo scorso settembre firma per il Corriere una riflessione sulla poesia contemporanea, auspicandone una semplificazione che la faccia uscire dalla torre eburnea dell’establishment e l’avvicini alla gente, che la renda comprensibile al grande pubblico e, sì, meno noiosa per gli stessi addetti ai lavori. Apriti cielo. Le parole del poeta suonavano traboccanti di ingratitudine verso coloro a cui, per dirla con le canzonette di Edoardo Bennato, lui “deve il suo successo”. Parole furbe ad accattivarsi la massa dei lettori pop che lo seguono su Facebook e Instagram. Una specie di alto tradimento – accusavano, con il ditino alzato, i puristi letterari. Arminio addirittura osava argomentare sulla bellezza da trovare ovunque, che – ancora il ditino – equivale forse un po’ a dire che siamo tutti poeti. Poi, mentre lo scontro tra le opposte correnti letterarie ferveva, erano arrivate l’erranza no-mask nel bosco e persino un’ironica intervista impossibile al misterioso Coronavirus su Fanpage. Per gli accademici è ormai ufficiale: Franco Arminio cavalca l’onda dei like facili e in libreria, dove è attualmente il più cercato e venduto poeta italiano, la tattica paga. «Che si discuta di poesia è sempre un bene – dice lui – ma con me si è travalicata la discussione, io sono stato insultato. Sul Corriere non avevo intenzione di delegittimare nessuno, ma è un dato di fatto che molte opere di grandi poeti non siano riuscite a soddisfare il naturale bisogno di poesia della gente. Questo vuoto è stato colmato con quel che si è potuto, ad esempio con il surrogato dei cantautori. De André e De Gregori su tutti, le loro canzoni sono vere poesie. Per il resto, domanda e offerta non si sono mai incontrate. E’ stata questa anche la mia personale esperienza con la poesia accademica, scritta quasi sempre come una comunicazione da poeta a poeta, o dal poeta perché venisse letta dal critico. Si restava in un club ristretto ed elitario e infatti a me non è rimasto nulla di quelle opere…»
La sua presunta e vituperata immagine di poetry-influencer la liquida come una sciocchezza e anche fake: «Le poesie di Chiedi la strada agli alberi le avevo scritte negli anni Ottanta. I miei lettori esistevano già, non li ho trovati su Facebook. Non mi manca il pane, mi ritengo libero di scrivere quello che sento».
Criticatissimi da odiatori affetti da snobismo pure i suoi “Studi sull’amore” una serie instant postata su Fb a tema erotico. Arminio replica: «Ci sono le critiche in buona fede e quelle che attribuisco a poeti frustrati. Non sarà per loro che smetterò di scrivere ciò che voglio, come ho sempre fatto. La poesia non ha brevetti né enti certificatori».
Militante della salvaguardia dei piccoli centri, personaggio mediatico anche grazie alla sua candidatura a sindaco di Bisaccia, in provincia di Avellino (a vincere fu il suo avversario e omonimo, Marcello Arminio), protagonista di uno scontro televisivo con Antonia De Mita, che lo aveva definito «bastardo e rosicone». Ma lo scrittore paesologo rivela un animo ipersensibile dicendosi amareggiato dall’invettiva dei leoni da tastiera. Che sono competitor artistici e di mercato, ma non solo: «Sui social noto una nuova tirannia del lettore. Il conflitto c’è sempre stato ma oggi si traveste da dibattito. Se non commenti ti tirano dentro e poi ti massacrano per rovinarti la reputazione. Ma è tutto mascherato da libero scambio di opinione. Una cosa molto meschina. Regna il conformismo. Ti seguo perché la pensi come me, se non è così non ti seguo più. Ma io voglio essere seguito perché sono io e a qualcuno piace come la penso io, non il contrario».
Fulcro della questione è l’iconica svagatezza del poeta – per Arminio colpevole retaggio dell’educazione scolastica: «Ci hanno sempre insegnato che lo scrittore è “impegnato”, può e deve interessarsi all’attualità e prendere posizione sugli eventi. Il poeta invece è rappresentato come un depresso cronico concentrato sui propri fallimenti, uno fuori dal mondo e che se ne sta in disparte. Il poeta che esprima un’opinione sui fatti della società è guardato con sospetto, ritenuto falso, attaccato».
L’intellettuale avellinese però non si lascia intimorire e anzi rincara la dose, inaugurando il 2021 con un’ulteriore iniziativa naive (e non è difficile ipotizzare che gonfierà ancora l’ira dei suoi fustigatori): un “calendario amoroso” con 12 disegni e poesie sentimentali in origine pensata come omaggio a persone incrociate durante giri per il Belpaese – negati oggi gli spostamenti, il paesologo ne fa oggetto di baratto augurale a chi gli invierà per posta a casa una bottiglia di vino o «un’altra cosa buonissima».
Strenuo contestatore di Vincenzo De Luca (che rivendica di non aver votato), Arminio approva però la decisione del governatore campano di vaccinarsi subito contro il Covid: «Un presidente di regione in un momento come questo non può ammalarsi, quindi è stata una scelta giusta. Insieme a medici e infermieri, dovrebbero farlo in via prioritaria anche gli amministratori degli enti di governo, almeno quelli principali».
Ma il poeta cosa pensa dell’ennesima polemica divampata sul vaccino tra ribelli, populisti e propaganda varia? «Quando sarà il mio turno – afferma Arminio – io mi vaccinerò. Non ha senso avere paura, tutto ha effetti collaterali. Sappiamo che un olio da 2 euro fa male e lo compriamo ugualmente: è la vita ad essere pericolosa. Il vero problema è però cosa succede dopo. Questo vaccino speriamo possa debellare il Covid, ma a me preoccupa il potere sanitario che si sta instaurando e potrebbe replicarsi con infiniti tipi di malattie, tenendoci per sempre sotto restrizioni di libertà in nome della salute pubblica. Dobbiamo capire dove vogliamo andare. Occorre cogliere questa occasione per cambiare modo di abitare il pianeta. Vacciniamoci dall’ingordigia morale, rinforziamo le nostre difese etiche e il sistema immunitario dello spirito».















 

 





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