Il mio segno particolare



Questa mia recensione al romanzo "Il mio segno particolare" di Michele D'Ignazio, edito da Rizzoli, è stata pubblicata sul Quotidiano del Sud.



Chissà perché la parola neo in senso figurativo è usata per indicare un difetto. La lingua italiana è l’unico caso, mentre al resto del mondo i nei piacciono molto: i francesi li chiamano vezzosamente grains de beauté, i sognanti spagnoli lunares, gli inglesi skin mole, cioè allegre talpe che scavano tane sulla pelle. Per Michele D’Ignazio, scrittore e illustratore cosentino, i suoi nei sono un privilegio, quel segno particolare che non tutti possono vantare sui documenti anagrafici e certificano una specialità. “Il mio segno particolare” s’intitola il nuovo romanzo di D’Ignazio, edito da Rizzoli come i precedenti e per la prima volta autobiografico. Avevamo conosciuto l’autore di tanti racconti per ragazzi soprattutto come papà della serie longseller “Storia di una matita” (a otto anni dall’esordio il primo capitolo della saga da poco è tornato in libreria con un’edizione celebrativa i disegni originali di Serge Bloch), che ha generato seguitissimi laboratori creativi con i bambini. Proprio i suoi giovani lettori, fertili di domande come tutti i piccoli, hanno ispirato questo romanzo, diverso dai precedenti ma ugualmente scritto per parlare con loro usando il linguaggio delle emozioni. Il tema in realtà non è lieve, anzi. In questa storia ci sono ospedali, operazioni, garze e medicinali. Rientrando in una di queste corsie con le avventure della matita Lapo, D’Ignazio ha incontrato tanti vivaci ragazzini, e qualcuno gli pone la domanda da un milione di dollari: cosa avresti fatto se non fossi diventato scrittore? Tra i piccoli amici c’è anche una bambina con le gambette a puntini. Michele per la prima volta si racconta. Questa è la sua vita, che inizia con un neonato pacioso e infermieri e dottori che lo guardano allarmati. Michele è nato con addosso il nevo melanocitico congenito, conosciuto come neo gigante. Ha il faccino a macchie come i dalmata e un manto scuro che gli copre l’intera schiena. Ma per lui è davvero questo: uno svolazzante mantello come quello dei supereroi - e se sei un bambino e devi subire tre operazioni, qualche magia in effetti ti serve. I piccoli sono coraggiosi e Michele resiste. Sopporta i ricoveri, i ferri, i palloncini sottopelle che dovrebbero asciugare il mantello. Non per niente è figlio di una runner e nel suo pancione ascoltava con lei il boss Springsteen. Il corpo di quel bimbo, che somiglia a un mappamondo dove la schiena bruna è un continente nell’oceano chiaro della pelle libera, gli fa pure un regalo fighissimo, portandolo in viaggio fino in America. Poi però arriva l’adolescenza, che suggerisce spleen e ribellioni. Michele non riesce più a compatire con serafica saggezza i curiosi che lo definiscono uno “scherzo della natura” – ancora le parole: dovrebbe essere una cosa allegra, lo scherzo, invece alle persone mette paura. Il Michele teenager vorrebbe giocare a basket ma non vuole indossare la canottiera perché si vergogna dei lembi di mantello che ancora la chirurgia non è riuscita a cancellare. Si nasconde, s’arrabbia. La sua salvezza saranno la musica e i libri.

Oggi il mantello non c’è più, sono rimasti i nei da dalmata, uno si ha messo radici in un occhio – i bambini sono certi che quella macchiolina è un residuo superpotere, quello della scrittura. D’Ignazio questo dono lo possiede e gli ha permesso di narrare con la luce della fantasia una storia che avrebbe potuto essere triste o faticosa e invece riscalda il cuore. Adesso viene naturale anche la risposta alla famosa domanda. Ecco, se non avesse fatto lo scrittore, sarebbe diventato un medico. Il libro è dedicato a loro: gli eroi che tanti anni fa lo hanno liberato dal mantello e tutti gli altri che oggi combattono contro le malattie con i poteri della scienza e dell’umanità.

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