"Transito", Aixa de la Cruz cambia idea




Ripropongo qui la mia recensione di "Transito"  di Aixa de la Cruz, edito da Giulio Perrone, pubblicata sul Quotidiano del Sud

Raccontare trent’anni di “delitti minori” e scoprire che ogni bruciante vergogna ha la sua coriacea radice nella misoginia – quella degli uomini e quella autoctona, più oscura e dolorosa da nominare. Con questo intento letterario e introspettivo Aixa de la Cruz ha concepito “Transito”, edito in Italia da Giulio Perrone nella traduzione di Matteo Lefevre. Un piccolo fenomeno in Spagna, dove nel 2019 era stato pubblicato dall’editore indipendente Caballo de Troya arrivando a dieci edizioni in pochi mesi. Il titolo originale è “Cambiar de idea” e la giovane autrice iberica non ha paura di andare fino in fondo alle proprie contraddizioni, che tutte ruotano attorno all’essere donna. Femminista ma allergica al consorzio con le sorelle, perché i maschi si divertono di più e le donne sono destinate a non lasciare traccia. E per autodifesa, per orgogliosa reazione al rifiuto.

Adolescente estromessa dal gineceo perché si era schierata dalla parte della più debole, la compagna lesbica evitata come la peste dalle altre ragazze, Aixa attraversa il primo guado voltando le spalle al gruppetto di amiche popolari per farsi contagiare addosso il disgusto della diversità. Le esperienze omosessuali saranno una vendetta: le offriranno un’arma di seduzione per non temere, e anzi dominare, le donne – e smettere di subirne l’esclusione. Un trofeo, la ribellione alla vita da studiosa e l’euforica scoperta di eccitare maschi e femmine, di essere libera di mettersi in tiro, drogarsi, andare a letto fuori dalle cornici sociali e morali imposte.

Il primo conflitto interfemminile era stato con una madre devota alla pratica della paura, che opprime inesorabilmente le donne dopo la maternità. La parte maschile era invece un biopadre della cui formale e sporadica conoscenza avrebbe fatto a meno, così come di un cognome che più che un diritto sembra una tassa da pagare. Eppure con i nonni e il padre acquisito Aixa ebbe un’infanzia felice: come capita sempre, sarà il dopo ad essere drammatico. Prima il suicidio di un giovanissimo amore e il dolo di non versare lacrime, poi il matrimonio con un messicano indolente e maschilista e i retaggi sessisti di quel paese assolti in modo indulgente (il vero divorzio, mai avvenuto, sa che avrebbe dovuto intraprenderlo non dall’uomo ma da tradizioni come il ballo della quinceanera, in Messico più importante dell’istruzione per una ragazza).


 

Diventare femminista e scambiarsi racconti di sopraffazioni diviene un atto doveroso ma non del tutto sincero. Aixa de la Cruz è imbevuta di colpe ataviche, cucite come un abito perfetto. La prima è non scrivere delle tante umiliazioni del suo sesso a cui ha assistito: il questionario accusatorio imposto alle giovani che abortivano nelle strutture pubbliche; il presidente di commissione della tesi di dottorato che ironizza sulle propensioni intellettive femminili ma lei non lo zittisce e anzi a quel mansplaining sfodera un sorriso da miss per ottenere il titolo; il presentatore che a un incontro culturale fa battute sulle sue gambe; il compagno che al termine di una discussione sulla scrittura se ne va e l’illuminante sensazione di star meglio da sola; la tentata violenza che l’arrende alla rabbiosa prova di come la forza fisica tra uomini e donne non sia un’equazione, consegnandola per la prima volta all’appartenenza di genere (è successo anche a te, finalmente sei una di noi).

“Transito” appartiene al genere emozionale, psichico e stilisticamente pignolo dell’autofiction, tornato alla ribalta nel settore editoriale, ma non è un esercizio onanistico. In questo libro intenso e potente c’è soprattutto, senza schermi, il corpo delle donne nella sua materialità, bramato e vessato - c’è ad esempio il tabù letterario per eccellenza, il ciclo mestruale da anestetizzare con i farmaci per decenza. Ma soprattutto c’è la coscienza incompleta e irrisolta dell’essere donna nella direzione giusta, quella della “brava femminista”. A far cadere il velo, e non potrebbe essere diversamente, è sempre la violenza. I femminicidi, il MeToo e lo stupro della Manada di San Fermin, voyeuristicamente analizzato su media e social con teorie pornografiche sul consenso. E quell’abuso spiato in un traumatico episodio familiare, cuore pulsante della colpa. La sua macchia inconfessabile è il masochismo indotto e tramandato nell’immaginario da noir hitchcockiano della femmina vittima sacrificale del maschio predatore. Perché l’errore finalmente compreso è quel mettere la donna, nel bene e nel male, alla centro della sua scena di abiezione, cento volte ancora degradata e vivisezionata. L’errore è non cedere i riflettori di gogna ai violentatori derubricati a bestie insenzienti. Aixa riparte da qui, dal sistema di cui è ancora connivente e in alcuni casi persino correa. Ma c’è tempo per cambiare idea, e le donne, lentamente, leccando le proprie ferite, lo stanno facendo.




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