Una donna promettente


Varrà la pena di vederlo al cinema soltanto per salutare con un applauso collettivo in sala la scena finale di “Una donna promettente”, film di Emerald Fennell con la strepitosa Carey Mulligan, che corre agli Oscar per cinque nomination di peso (film, regia, attrice protagonista, sceneggiatura e montaggio). La regista, esordiente, ha girato il suo film in 23 giorni al settimo mese di gravidanza ed è la prima donna britannica ad ottenere la candidatura, il che già basterebbe per farne un’opera orgogliosamente femminista. Sarebbe semplice definirlo tale perché è un film che parla di stupro, ma la novità è il modo in cui Fennell sceglie di raccontare una ferita che per le donne rimane aperta e bruciante anche dopo anni di attivismo, rivendicazioni e leggi. 
L’apice drammatico di un “Sotto accusa” è lontanissimo, eppure questa commedia noir, che procede in un crescendo di eventi paradossali e al limite del surreale, riesce ugualmente ad agghiacciare.
L'atmosfera è disturbante ma lo si avverte sottopelle, da uno strato profondo e inconscio dietro la leggerezza di una fotografia a tinte zuccherose e una colonna sonora che ruba al pop anni Novanta i remix delle Spice girls e Britney Spears. La protagonista Cassie è un’ex studentessa di medicina che ha abbandonato il college per solidarietà con l’amica Nina, la quale dopo aver denunciato una violenza di gruppo e non essere stata creduta aveva lasciato tutto e si era ammalata di depressione fino a morirne. La trentenne Cassie lavora in una caffetteria di proprietà della dolcissima Gail, che ha preso nel suo cuore il posto di Nina, ed ha un rapporto conflittuale con i genitori – in particolare la madre, preoccupata per l’isolamento sociale della figlia, vorrebbe che lei andasse via da casa e iniziasse una vita indipendente. Ma se di giorno Cassie è un’anonima barista, nelle notti dei weekend attua un piano spietato per punire quanti hanno avuto un ruolo nella fine di Nina. Fingendosi ubriaca come lo era l’amica nello stupro del branco, si lascia abbordare da uomini che con la scusa di aiutarla vogliono in realtà portarla a letto, approfittando del supposto stordimento alcolico. Ma quando si arriva al dunque Cassie si svela sobria ed umilia i subdoli seduttori fino alla tortura psicologica. La vendetta è rigorosa ma priva dello splatter che si immaginerebbe in una situazione del genere: Cassie è una sorta di terribile creatura celeste eppure non usa violenza, non si abbassa al livello di chi aveva infierito su Nina e riesce a raggiungere l’obiettivo affilando l’arma della parole – che, si sa, ne uccide più della spada. Esce illesa da ogni rischio, virginea vestale di fronte a maschi squallidi, lasciati a rimestare nel loro stesso degrado morale.

E’ questa la vera idea femminista del film. Una donna combatte con fair play ma sa essere letale, è sconfitta dall’inferiorità di forza fisica ma sconfigge i suoi nemici usando il potere della mente. E liberando una rabbia ancestrale ed esplosiva, retaggio di millenni di sottomissione alle catene del patriarcato. Detto così potrebbe sembrare un manifesto di misantropia, invece Cassie gli uomini non li odia. Legata al padre da un’amorevole comprensione che manca con la madre, Cassie trafiggerà di strali anche due donne responsabili del calvario di Nina e sarà la fiducia in un uomo, di cui riconosce il pentimento, a permetterle – nel glorioso finale della storia – di coronare il suo piano offrendo estrema giustizia a Nina.
Non dirò nulla della diabolica programmazione della vendetta, che va scoperta guardando il film, mentre Cassie aggiunge vittoriose tacche nel suo diario di vittime. La sua folle determinazione fa più paura di una follia d’atti violenti ed è capace di ridurre ai minimi termini i malcapitati – tutti e tutte autentici bastardi - rigirando il coltello nella piaga di inadeguatezze e frustrazioni. Ma è una donna e lei pure cede all’amore per Ryan, immaginando la felicità nell’unione solidale e finalmente pura con un uomo. Chiunque sia diffidente verso l’assioma del “not all men” troverà conferma nella dolorosa scoperta della colpa di Ryan, e qui si apre un altro grande tema del film. Dallo ius primae noctis al Me Too, dalla denuncia a Ronaldo ai casi italiani di Genovese e Grillo, il germe della violenza è in quel sospetto sul consenso, la velenosa accusa che accomuna gli stupratori e il morboso pubblico dei fatti. Era consenziente e in fondo le è piaciuto, “vis grata puellae”. Le parole della preside del college a Cassie ricordano il monologo di Beppe Grillo: sono ragazzi, a loro – mai alla donna – spetta l’indulgenza di un beneficio del dubbio. Presunzione d’innocenza garantita sull’aberrante giustificazione autoprodotta sfruttando l’inermità dello stato di ebbrezza. E’ il contrario, invece. Poco importa se una donna abbia bevuto per sua scelta o sia stata costretta: l’effetto di alcol e droga impedisce di avere la certezza di un assenso, perciò indurre al sesso in questa situazione equivale a trattare una persona come oggetto. Una delle violenze peggiori, per la sua modalità crudamente manipolatoria. Oltre ad essere etichetta di scarsa dignità per la tipologia di playboy: non sapete proprio conquistare per merito personale, senza la tossica complicità di Bacco?
Cassie è un calderone ribollente di emozioni distruttive. Disgusto per la falsa seduzione da mettere in scena che poi culmina in elettrizzante appagamento: il rossetto sbavato come protesta contro i cliché di bellezza femminile (labbra perfette per un pompino), l’altera indifferenza che toglie il gusto delle battutacce ai cafoni del cat calling, la furiosa reazione a chi la evoca come corpo da assoggettare al desiderio maschile.
Difficile che questo film vinca l’Oscar, sarebbe troppo ardimentoso per l’Academy – ma è giusta e coraggiosa la candidatura, soprattutto in un’epoca così feroce con le donne. Più probabile e meritata appare la prospettiva della statuetta a Carey Mulligan, interprete dalle sfaccettature camaleontiche e anche produttrice esecutiva del film in un progetto tutto al femminile, contando Margot Robbie con la sua Lucky Chap. Il testamento della sua sulfurea e angelica Cassie è il significato di quell’essere “una donna promettente”. Qualunque cosa voglia dire lo sa per sé ognuna di noi – un giorno verrà in cui non lo decideranno più gli uomini.

Commenti

  1. studiando in modo indipendente il personaggio dell'attore: sembri un maestro del cinema https://cb01.boo

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