Le nostre serie tv sono meglio delle vostre
Ora che su Italia Uno torna anche Lamù vogliamo dirlo una volta per tutte? I nostri cartoni e le nostre serie tv sono meglio delle vostre, potrebbero dichiarare trionfalmente gli ex adolescenti degli anni Novanta, osservando il revival in corso di telefilm e sceneggiati che riemergono dal passato per conquistare i loro figli teenager.
Netflix ripropone “Dawson’s Creek” e i post-millennial si appassionano a sogni e patemi d’amore della comitiva guidata dal talentuoso liceale che vuole diventare regista. Per il biondo protagonista James Van der Beek – da anni icona di meme sui maschi lamentosi con la sua celebre faccia affranta dopo l’abbandono di Joey - è una clamorosa rivincita.
Cronaca di un successo annunciato, diremmo noi - che siamo di parte. Non solo. Finalmente qualcuno si accorge che le più viste di oggi, “Riverdale” in testa, sono tutte copiate da lì. Se Twin Peaks è la citazione dichiarata, la serie mistery con KJ Apa e Cole Sprouse ha rubato a mani basse dalle sei stagioni di avventure di Dawson e compagni. Privi di ritegno, persino singoli episodi: chi poteva immaginare che quei vecchietti sarebbero ricomparsi sullo stesso canale, sgamando, ad esempio, il plagio della punizione scolastica di gruppo che scatena scintille erotiche e confessioni tra i ragazzi chiusi in un’aula?
Il motivo della formula vincente è semplice: in quella storia c’era tutto. I dolori dei giovani di Capeside sono modello universale della gioventù di ogni tempo e luogo. Un po’ come i Promessi Sposi in letteratura, hanno creato un genere elargendo infallibili strumenti narrativi, i calchi base del racconto sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta – operazione non riuscita a cult incontestabili come “Beverly Hills 90210” e “Melrose Place”. Ma quelli erano miti, memorabilia televisive (Riverdale, nel cui cast c’era Luke Perry, dopo la morte dell’attore lo ha ricordato con un personaggio-cameo, Shannen Doherty-Brenda, in un episodio di crossover di grande scuola televisione).
Dawson’s Creek va oltre, è il romanzo di formazione delle serie tv. E’ per gli adolescenti quello che per le single in carriera sarebbe diventato “Sex and the City”. Un manuale, un grande libro di risposte e profezie assurto a riferimento corale. Se sei fashion e possiedi un centinaio di Manolo Blahnik ma l’uomo della tua vita ha sposato un’altra, Carrie Bradshaw è tua sorella. Se hai 14 anni e improvvisamente sei gelosa del tuo migliore amico, Joey sei tu. Dubbi e casini compresi nel pacchetto. Identificazione immediata, per decreto legge generazionale.Ecco perché a ripercorrere su Netflix la lunga contesa amorosa di Dawson e Pacey per quella deliziosa stronzetta con gli occhioni e le gambe chilometriche di Katie Holmes non sono soltanto i nostalgici. Quel teen-drama, creato da Kevin Williamson, non è roba sorpassata, ma parla esattamente dei nostri tempi, che gli autori avevano intuito e raccontato con largo anticipo. Fu una scelta rivoluzionaria far parlare quei candidi personaggi di verginità, masturbazione, omosessualità, revenge porn, maternità solitaria.
Le cose non sono poi molto cambiate, la giovinezza è e sarà sempre così. E come si fa a non aggiungere che tra l’altro quei ragazzini sono troppo fighi? Gli attori, intanto: la star Holmes che diventa moglie di Tom Cruise e mamma della viziata figlioletta-fotocopia Suri. Michelle Williams, come la sua Jen dannata anche nella vita: vedova del mitico Heath Ledger e bravissima interprete di ruoli drammatici, da Brokeback Mountains a Marilyn. Nella foto ricordo di una recente reunion sono rimasti bellissimi, compresa la “nonna” Mary Beth Peil, ottantenne da lasciare la firma. Tolti la crocchia da parrocchiana e il grembiule, con quelle onde platinate è un incrocio tra Virna Lisi e Lana Turner.
I personaggi poi sono perfetti, da ogni lato li si guardi. La ribelle Jen, il cervellotico Dawson che vive nei film di Capra e Spielberg, l’irresistibile combinaguai Pacey, il leale Jack, la dolcissima Andie. La reginetta Joey, all’epoca del centro di opposte fazioni tra chi la vedeva come una rompiballe che se la tirava e chi l’adorava come icona di femminismo. Trent’anni dopo è folgorante scoprire come sia ancora così: i teenager la odiano o la amano, senza vie di mezzo.
Invece ogni passaggio tv di “Dirty Dancing” scatena un delirio di post di mamme, figlie e nipoti che sospirano sui muscoli di Patrick Swayze ripetendo il mantra sentimentale per eccellenza: nessuno può mettere Baby in un angolo. E’ l’amore ideale che tutte volevamo, ma esiste qualcuna che non lo vorrebbe così pure oggi?
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