A Sud del Sud




Questa mia intervista a Giuseppe Smorto sul libro "A Sud del Sud" edito da Zolfo, è stata pubblicata sul Quotidiano del Sud



Una Calabria da declinare al plurale, multiforme, contraddittoria, terra-matrioska che contiene altre terre, altre storie. Giuseppe Smorto, calabrese, le sue origini le localizza “A Sud del Sud”, titolo del libro (Zolfo editore) che racconta un viaggio “tra i diavoli e i resistenti”, le due forze opposte che duellano in questa regione. Un viaggio vero, quello del giornalista reggino, che per scrivere queste storie di coraggio e speranza ha percorso fisicamente la Calabria, in auto, in treno e a piedi. Dalla Locride a Riace, da Gioia Tauro ad Amantea, a Cariati dove da Reggio, su rotaie, puoi metterci anche sette ore – un tragitto che lo fai solo se vuoi, se è importante. Nel libro c’è un mosaico di sogni, vite e vicende spesso ai limiti del paradosso. Il gigante abbandonato del Palazzo di Giustizia reggino, il dipartimento di neuroscienze dell’ospedale di Cosenza con i muri così friabili da non sopportare un chiodo, le bancarelle di Polsi con i kalashnikov giocattolo. Gli idealisti come l’appassionato Lino Caserta, medico che ha creato l’Associazione Calabrese di Epatologia per erogare prestazioni sanitarie a chi non può permettersi gli onorari dei privati e le lunghe attese delle strutture pubbliche, sono derisi dai cinici (“i comitati d’affari mi chiamano coglione”). Mentre il circolo velico di Crotone alleva giovanissimi sportivi, una scommessa dove il mare come antidoto a bullismo e devianza.

C’è voglia di rinascita, di ribellione. Orgoglio di svelare quella bellezza che in Calabria esiste ma non appare, oscurata dall’immaginario mainstream che qui identifica soltanto ‘ndrangheta, degrado e ignoranza. Invece, se sai dove cercare, trovi la chef stellata Caterina Ceraudo che a Strongoli gestisce un impianto di lavorazione degli scarti da cucina per produrre biogas. O Giulio Vita, figlio di emigrati in Venezuela: è tornato e ad Amantea ha messo su “La Guarimba” (in venezuelano vuol dire “luogo sicuro”), un festival del cinema indipendente che non invita divi ma sul red carpet ha ospiti come il giornalista curdo Adib Fateh Ali. La kermesse si svolge nell’Arena Sicoli, anfiteatro da circa mille posti chiuso da anni: in un manipolo di volontari hanno grattato via la ruggine, ripulito, estirpato le erbacce – ora è davvero un luogo sicuro, risorto dall’oblio.

Ma a chi si raccontano le tante Calabrie di questo libro, che i calabresi conoscono già ma rileggono con emozione nuova – come accade per tutte le cose che abbiamo sotto gli occhi e diamo per scontate? «Ho scritto questo libro per i non calabresi – dice Smorto - proprio per arrivare con questi contenuti a un pubblico che della Calabria ha un’immagine stereotipata. Poi ho scoperto che molte realtà di cui parlo sono sconosciute agli stessi calabresi e questo alimenta un clima di autoabbattimento che non rende giustizia a quei “non rassegnati” che ogni giorno provano a costruire imprenditorialità, cultura, legalità. Io ho seguito il sentiero dei calabresi non rassegnati. Non è un romanzo ma un’inchiesta giornalistica, quello che so fare. Non c’è letteratura, ci sono persone e storie. E non c’è nemmeno la politica».

Tra i “resistenti” ci sono quelli che continuano a fare cultura in Calabria, presenti da decenni eppure sempre piccoli e quasi invisibili. Quanto è importante che non si arrendano?

«E’ molto importante, nella misura in cui a portare avanti questa iniziativa sono volontari, come qui accade in tanti altri settori. Nunzio Belcaro, il libraio rider della Ubiz di Catanzaro, che consegnava i libri a domicilio durante il lockdown, lo trovo quasi eroico, così come il titolare della Ave di Reggio, che ha investito su un nuovo locale in un periodo di crisi. Persone che resistono e sono motivate pur vivendo in una regione dove si legge poco. Sono tanti ma non fanno rete, non si parlano tra loro, bloccati da campanilismi e rivalità. Quando poi gli atenei di Catanzaro e Cosenza si mettono d’accordo per istituire un corso all’avanguardia come medicina e tecnologia digitale, a frenarli arriva la politica, che protesta e parla assurdamente di scippi».

Nella nota finale si spiega che qualcuno non ha voluto rispondere e apparire nel libro. Omertà, paura?

«No, non è quello, semplicemente sono persone a cui la situazione sta bene così. Professionisti e professori universitari che stanno bene in questa burocrazia del declino e non sono interessati al cambiamento. Pochi, per fortuna»

Nel libro c’è una speciale dedica ai cronisti che restano in Calabria per raccontarla in prima linea, nonostante tutto.

«Sono colleghi che io ringrazio da cittadino. Perché, oltre ai rischi che accomunano la categoria professionale ovunque, qui i giornalisti sono soli e senza tutela. In Calabria questo mestiere si può fare soltanto per passione»

L’ultima frase del libro cita le parole di Tonino Perna, che osserva come non si possa dire ai giovani di studiare qui e poi di andarsene. Però ci sono le statistiche e classifiche negative, numeri che nel libro sono riportati con schiacciante oggettività, senza indorare la pillola. Cosa offriamo ai nostri figli per farli restare?

«Questa risposta deve darla la politica. I progetti di rilancio devono nascere ora che ci sono i soldi del recovery fund, partendo dalle realtà positive e importanti che abbiamo. Le università. Il porto di Gioia Tauro che in piena pandemia ha fatto balzo del +25% ma oggi è ancora un’isola che non dialoga col territorio. E poi la Calabria ha bisogno di grandi infrastrutture sociali. E’ il momento giusto. Se non lo facciamo adesso, non lo facciamo più».

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