Vita da Carlo


Tutti rivogliono i suoi personaggi ma lo abbiamo sempre saputo che il Verdone reale è più irresistibile di ogni Furio o Leo. Un sacco bello nella sua summa di angosce, ipocondrie, leggerezza e malinconia, che adesso il regista romano racconta senza filtri nella serie Amazon Original “Vita da Carlo”, dove mette in scena un ritratto privato che anche quando lo vorrebbe non può mai evadere dalla ribalta pubblica. 
A Roma Verdone è un’istituzione, la sua faccia senza facoltà d’anonimato è una calamita per selfie e dediche personalizzate con le gag dei suoi film più famosi. Nell’epoca della reality fiction è breve il passo verso questa commedia biografica in dieci puntate dove si vede (almeno nelle intenzioni) esattamente quello che accade al regista quando il tenero sole capitolino sorge sull’ennesima giornata in cui nulla sarà normale. Lo famo strano, insomma, o meglio ancora anziano, come sostiene il gigionesco produttore Cantalupi (Stefano Ambrogi, alter ego dello storico sodale Aurelio De Laurentiis, che con Filmauro è in prima fila pure in questo progetto), che pressa per un nuovo film dove i popolari personaggi appariranno in versione geriatrica. Carlo però sta attraversando la classica fase artistica crepuscolare e sogna una pellicola d’autore insieme allo sceneggiatore indipendente Nuchi (Pietro Ragusa), idea che non incontra il gusto di Cantalupi, poco incline al cinema d’essai. Nel frattempo, un suo comizio improvvisato in strada sull’amatissima Roma spinge il presidente della Regione a candidarlo sindaco, nella generale ovazione dei cittadini, dando il via a una girandola di gossip, equivoci e soprattutto ulteriori ansie. Fosse stato un altro, avremmo detto che una serie così è troppo autoreferenziale e fa il verso ai vari Grande Fratello e Stardust House irrompendo a gamba tesa nel palcoscenico social dove, sempre su Amazon, a breve esordiranno i Ferragnez. Ma Verdone non è Chiara Ferragni, a spiare la sua vita dal buco della serratura della cinepresa siamo abituati nella familiarità. Verdone è un po’ Furio e un po’ Ivano, è coatto, pedante e immaturo. Insomma di lui sappiamo già tutto, e mentre si lascia guardare addormentato o in lacrime riesce a farci credere che davvero di quest’affettuosa invadenza farebbe a meno, perché in fondo rimane un timido incompreso.

E’ chiaro che “Vita da Carlo” va vista soltanto se si ama Verdone o si è romani (cose che quasi sempre coincidono, Verdone a Roma viene subito dopo l’ottavo re Francesco Totti e del peso di questo secondo posto ne accorgerà dopo un’ingenua gaffe sul Capitano, foriera di effetti catastrofici). Ma la storia, diretta da Verdone e scritta con Nicola Guaglianone, ha ritmo, è divertente e ha tra i suoi punti di forza il cast, come era stato per “Compagni di scuola”. Da Monica Guerritore nel ruolo dell’ex moglie, all’eccezionale Max Tortora che interpreta se stesso, a Caterina De Angelis (nella serie figlia di Carlo, nella realtà prole-fotocopia di Margherita Buy, amica del regista e musa dell’iconico “Maledetto il giorno che ti ho incontrato”), e poi i giovani Contri e Bannò, la fenomenale Maria Paiato e tanti cammei di lusso come Alessandro Haber, Antonello Venditti, Roberto D’Agostino e Morgan - che partecipano in self ma, come Tortora, svelano fragilità umane universali. Anche i comici e i vip piangono e così c’è chi è tradito dalla moglie e si chiede se la colpa sia sua; chi soccombe al tempo che passa e gli inevitabili fallimenti cercando consolazione nell’alcol e la follia; chi ha paura e scappa e chi per un altro tipo di paura resta nella comfort zone dell’infelicità. Carlo, il nostro Woody Allen, è gran cerimoniere di sentimenti e miserie, su cui disserta e psicanalizza tra scene oniriche e consigli da esperto su malattie e farmaci – non dimentichiamo che il regista è appassionato studioso autodidatta di medicina. Si innamora senza speranza (ovviamente di una farmacista, la bella e brava Anita Caprioli) perché ha capito che senza amore non siamo niente, anela alla pace dei sensi ma poi si impelaga nei casini perché non sa dire di no. E’ troppo buono o vittima di un’immagine - sotterraneamente compiaciuta - di uomo perbene? Sappiamo dal regista che molti degli eventi narrati nella serie sono fatti veri, ma importa poco se siano fiction o realtà l’aspirante cineasta minacciatore seriale di suicidi, l’ammiratrice malata terminale che si trasforma in stalker o la farsa matrimoniale perpetuata per scongiurare un dispiacere fatale alla suocera cardiopatica. Verdone come Alice da sempre attraversa lo specchio che lo transita dalla sua camera da letto con gli ansiolitici sul comodino alla polverosa Roma ferragostana di Enzo e gli altri. E quando s’infrange la promessa della passione con la farmacista, tornata con il marito, e Carlo sussurra disperato che la sua vita è inutile non è forse diventato nuovamente il goffo Leo Nuvolone deluso dalla mancata conquista di Marisol? 
Alla fine quello che davvero vorrebbe sentirsi dire è che “Maledetto il giorno che ti ho incontrato” è più bello di “Viaggi di nozze”, liberandosi dall’estremo spauracchio della popolarità come opposto dell’arte, che lo perseguita e si materializza nelle parole dello studente fricchettone e un po’ stronzo sul quel “certo tipo di film” che un Verdone non girerà mai.

Lo splendido attico in cui si svolge il biopic (una delle curiosità degli spettatori) è un set e non l’autentica casa di Carlo Verdone, ma è verissima e di una luminosità abbacinante Roma, di cui la serie offre immagini meravigliose, tra cui la panoramica mozzafiato dalla terrazza dove il regista, perdutamente innamorato della sua città, si dice sicuro che Nerone, vedendola così bella, non l’abbia mai bruciata. Dopo dieci puntate di peripezie, incazzature e disastri vari, domani è un altro giorno anche per Carlo. Stressante e complicato come gli altri, ma forse quello in cui per la prima volta avrà il coraggio di spegnere la telecamera ed essere semplicemente quello che è.




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