Di "Altrimenti ci arrabbiamo" ce n'è uno solo
Ci sono remake e sequel inutili, che nascono già votati a un inesorabile flop. Non è un fatto di lesa maestà né di oggettiva impossibilità di replicare un’opera magari perfetta o unica.
Gus Van Sant, ad esempio, rifece magistralmente “Psycho”, capolavoro di Hitchcock, nell’unico modo giusto, cioè copiando pedissequamente (e con la doverosa, solenne venerazione) ogni singola inquadratura, ma mettendoci di suo soltanto l’effetto spiazzante del colore – il sangue rosso, che figata assoluta vederlo per la prima volta nella scena cult della doccia!
Michael Haneke invece si è automenzionato con una versione “ten years challenge” del suo sommo “Funny Games”, anche questa shot-for-shot. E su uno dei primi film di Alejandro Amenabar, lo psichedelico “Apri gli occhi”, ha operato benissimo Cameron Crowe: identica storia inquietante, titolo da citazione rock (“Vanilla Sky”, come il disco di Paul McCartney) e soprattutto una coppia di protagonisti stellare, Penelope Cruz (nello stesso ruolo della pellicola spagnola) e Tom Cruise, che all’epoca erano innamorati anche nella vita.
Poi ci sono casi in cui, invece, sarebbe meglio evitare. E non perché si maneggi materiale cinematograficamente sacro… o forse un po’ sì, proprio per questo. Non è necessario che si parli di altissime opere d’autore. Esistono film che per il pubblico hanno una “faccia” precisa e che rappresentano un’epoca o un genere. Intoccabili in quanto iconici. E sentimentalmente cari nel loro essere legati a ricordi generazionali. Di proporre omaggi non se ne parla proprio, al massimo si possono disseminare memorabilia e citazioni, ma in opere completamente diverse. Appartengono a questa categoria, ad esempio, “Via col vento” (terribile il seguito televisivo tratto dal romanzo di Alexandra Ripley, che – orrore! – immaginava cosa accadde a Rossella dopo che era sorto il celebre «domani è un altro giorno»). O “Dirty Dancing”, oggetto di un’imbarazzante fiction dove Baby era sovrappeso e Johnny diventò uno dei tanti performer bonazzi di balli latinoamericani.
Stesso ragionamento per l’incomprensibile e scellerata idea di rifare “Altrimenti ci arrabbiamo”, istituzionale film del 1974 di Marcello Fondato che insieme alla saga di Trinità identifica il massimo fulgore del duo Bud Spencer e Terence Hill. L’emblema per eccellenza delle scazzottate cinematografiche all’italiana, risate maccheroniche e sganassoni con l’etichetta doc.
Michael Haneke invece si è automenzionato con una versione “ten years challenge” del suo sommo “Funny Games”, anche questa shot-for-shot. E su uno dei primi film di Alejandro Amenabar, lo psichedelico “Apri gli occhi”, ha operato benissimo Cameron Crowe: identica storia inquietante, titolo da citazione rock (“Vanilla Sky”, come il disco di Paul McCartney) e soprattutto una coppia di protagonisti stellare, Penelope Cruz (nello stesso ruolo della pellicola spagnola) e Tom Cruise, che all’epoca erano innamorati anche nella vita.
Poi ci sono casi in cui, invece, sarebbe meglio evitare. E non perché si maneggi materiale cinematograficamente sacro… o forse un po’ sì, proprio per questo. Non è necessario che si parli di altissime opere d’autore. Esistono film che per il pubblico hanno una “faccia” precisa e che rappresentano un’epoca o un genere. Intoccabili in quanto iconici. E sentimentalmente cari nel loro essere legati a ricordi generazionali. Di proporre omaggi non se ne parla proprio, al massimo si possono disseminare memorabilia e citazioni, ma in opere completamente diverse. Appartengono a questa categoria, ad esempio, “Via col vento” (terribile il seguito televisivo tratto dal romanzo di Alexandra Ripley, che – orrore! – immaginava cosa accadde a Rossella dopo che era sorto il celebre «domani è un altro giorno»). O “Dirty Dancing”, oggetto di un’imbarazzante fiction dove Baby era sovrappeso e Johnny diventò uno dei tanti performer bonazzi di balli latinoamericani.
Stesso ragionamento per l’incomprensibile e scellerata idea di rifare “Altrimenti ci arrabbiamo”, istituzionale film del 1974 di Marcello Fondato che insieme alla saga di Trinità identifica il massimo fulgore del duo Bud Spencer e Terence Hill. L’emblema per eccellenza delle scazzottate cinematografiche all’italiana, risate maccheroniche e sganassoni con l’etichetta doc.
In uscita a fine marzo, il remake di quel mitico classico è diretto dai registi romani Antonio Usbergo e Niccolò Celaia del sodalizio YouNuts, usciti dall’underground rap (di loro si ricorda “Sotto il sole di Riccione”, film giovanilistico ispirato alla canzone di The Giornalisti). Tra gli autori del soggetto, nel solco di una continuità a cui non crede nessuno, figurano Paolo e Manuel Fondato, figlio e nipote di Marcello.
Intanto va premesso che non è una novità assoluta. Negli anni Settanta l'americano Paul Smith e l'italiano Antonio Cantafora, attori di fisionomia simile a Spencer e Hill, girarono cinque spaghetti western con lo stile di veri e propri cloni degli originali (il biondo Cantafora scelse dapprima lo pseudonimo di Micheal Coby, ma successivamente i due si fecero chiamare Simone e Matteo). L'idea era venuta nientemeno che a Mauro Bolognini, e per amplificare l'effetto nel progetto furono coinvolti gli stessi doppiatori di Bud e Terence. Non si trattava però - e questa è una differenza enorme - di remake, ma di altri film, che giocavano soltanto sulla somiglianza per cavalcare l'onda del successo della coppia vera.
Stavolta ad indossare i panni dei Nostri rievocando un film-istituzione sono gli ex “Romanzo Criminale” Edoardo Pesce (nel ruolo che fu del grande Bud, anzi per la precisione di un figlio-gemello di quel personaggio) e il belloccio Alessandro Roja, pallido e improbabile clone di Terence Hill (seppure, essendo nella storia anche lui figlio di Bud, si capisce poco perché debba somigliare al socio di suo padre). Non poteva mancare, ovviamente, la Dune Buggy oggetto del contendente tra gli eroi buoni e il prepotente: in stile avanspettacolo, l’aerodinamica automobile da corsa gialla e rossa è celebrata da nani e ballerine, e la cultissima canzoncina degli Oliver Onions qui l’esegue Federico Zampaglione.
E dunque, analizzando la trama del film, salta subito all’occhio una sfacciata serie di blasfemie e/o incongruenze. I due personaggi stavolta sono, come detto, figli dell'originario personaggio di Bud Spencer, due fratelli divisi da un’antica ruggine (una trasversalità metacinematografica: gli appassionati di Bud e Terence sanno bene che questa era piuttosto la situazione di Trinità e Bambino), che, in onore all'amato papà, si ritroveranno uniti nella comune battaglia contro il cattivo.
Sbagliato. Nell’originale i ragazzi non si conoscevano affatto ed erano semplicemente rivali di rally - e questo amplifica l’amicizia che poi nascerà dopo che si saranno arrabbiati, facendo sfracello della cricca di tracotanti malavitosi.
Poi, a proposito di prepotenti, nel nuovo film c’è Christian De Sica, che con tutto il rispetto non incarna nemmeno lontanamente quello spassoso Capo interpretato dal rubicondo John Sharp, un bambinone viziato e dittatoriale che agiva per il puro piacere di cagionare sofferenza e, nell’affiancarsi a un folle psichiatra dall’accento tedesco (Donald Pleasance), era una brillante satira della meschina ottusità di tiranni e boss. A doppiare entrambi era stato Oreste Lionello, giocando con maestria su timbri vocali opposti che caratterizzavano le due diverse personalità.
De Sica, invece, è uno speculatore edilizio con un piano ben preciso e interessi concreti come movente della malvagità – insomma, con quella sottile ridicolizzazione del potere non c’entra niente. E le atmosfere abbastanza spaghetti western della storia confondono le acque in un completo pasticcio: cos’è questo caotico guazzabuglio, in quale film di Bud&Terence siamo?
Nel film di YouNuts troviamo pure un ruolo femminile importante, quello della determinata Miriam (Alessandra Mastronardi): nel film di Fondato erano tutti maschi e l’unica ragazza è la bella e dolce trapezista di cui s’innamora Terence Hill, che l’aiuterà a salvare il luna park dalla furia distruttiva dei mafiosi. Insomma, nel 2022 la donna non è più tenera, inerme e bisognosa di protezione maschile, ma una tostissima, che partecipa attivamente alla resistenza contro il malvagio signorotto. Va benissimo, le donne sono davvero così, ma se in questo film ci lasciate uno scanzonato principe azzurro come Terence Hill non dispiace affatto, eh. Se esiste un uomo come quel Kid per lui torniamo volentieri ad essere le fanciulle indifese della situazione – sebbene la trapezista del film fosse tutt’altro che una svampita, va detto.
Più che un remake si tratta quindi di un reboot, che, volendo proprio girarla a tributo, poteva francamente essere presentato in tanti altri modi, ma non certo con lo stesso titolo o ricercando un’inefficace somiglianza tra attori. YouNuts, registi di belle clip musicali (“Se piovesse il tuo nome” di Elisa; “Morirò da re” di Maneskin; “E’ sempre bello” di Coez; “Maradona y Pelè” di The Giornalisti), avevano tutti i numeri per farlo senza gettarsi lancia in resta in un’impresa quasi suicida.
Poi, a proposito di prepotenti, nel nuovo film c’è Christian De Sica, che con tutto il rispetto non incarna nemmeno lontanamente quello spassoso Capo interpretato dal rubicondo John Sharp, un bambinone viziato e dittatoriale che agiva per il puro piacere di cagionare sofferenza e, nell’affiancarsi a un folle psichiatra dall’accento tedesco (Donald Pleasance), era una brillante satira della meschina ottusità di tiranni e boss. A doppiare entrambi era stato Oreste Lionello, giocando con maestria su timbri vocali opposti che caratterizzavano le due diverse personalità.
De Sica, invece, è uno speculatore edilizio con un piano ben preciso e interessi concreti come movente della malvagità – insomma, con quella sottile ridicolizzazione del potere non c’entra niente. E le atmosfere abbastanza spaghetti western della storia confondono le acque in un completo pasticcio: cos’è questo caotico guazzabuglio, in quale film di Bud&Terence siamo?
Nel film di YouNuts troviamo pure un ruolo femminile importante, quello della determinata Miriam (Alessandra Mastronardi): nel film di Fondato erano tutti maschi e l’unica ragazza è la bella e dolce trapezista di cui s’innamora Terence Hill, che l’aiuterà a salvare il luna park dalla furia distruttiva dei mafiosi. Insomma, nel 2022 la donna non è più tenera, inerme e bisognosa di protezione maschile, ma una tostissima, che partecipa attivamente alla resistenza contro il malvagio signorotto. Va benissimo, le donne sono davvero così, ma se in questo film ci lasciate uno scanzonato principe azzurro come Terence Hill non dispiace affatto, eh. Se esiste un uomo come quel Kid per lui torniamo volentieri ad essere le fanciulle indifese della situazione – sebbene la trapezista del film fosse tutt’altro che una svampita, va detto.
Più che un remake si tratta quindi di un reboot, che, volendo proprio girarla a tributo, poteva francamente essere presentato in tanti altri modi, ma non certo con lo stesso titolo o ricercando un’inefficace somiglianza tra attori. YouNuts, registi di belle clip musicali (“Se piovesse il tuo nome” di Elisa; “Morirò da re” di Maneskin; “E’ sempre bello” di Coez; “Maradona y Pelè” di The Giornalisti), avevano tutti i numeri per farlo senza gettarsi lancia in resta in un’impresa quasi suicida.
Già all’apparizione del trailer, i fan di Bud e Terence si sono ribellati invitando persino a boicottare le sale. In molti il film non lo vedranno, compresa la sottoscritta. Da chi invece lo ha fatto nelle anteprime di questi giorni, trapelano in grande maggioranza commenti ultranegativi, alcuni al limite del linciaggio. Il superstite della fantastica coppia vera, Terence Hill, finora tace e non è un buon segno.
Una considerazione (pregiudiziale sì, concedetelo) però possiamo ugualmente farla prima della visione. Il film di Marcello Fondato resta praticamente perfetto, nei minimi dettagli (il direttore d’orchestra, il killer violinista, la sala da ballo e il locale della sfida birra e hot dog… quanto meraviglioso vintage). E senza l’inarrivabile scena del coro dei pompieri quello non sarà mai “Altrimenti ci arrabbiamo”. Se non può più dirlo Bud, lo facciamo noi a gran voce al posto suo che «siamo già arrabbiati».
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