Macaone


Questa mia recensione di "Macaone", il romanzo di Nicola Longo edito da Rubbettino, è stata pubblicata sul Quotidiano del Sud

Secondo gli addetti ai lavori, “Macaone” di Nicola Longo potrebbe essere uno dei titoli favoriti della selezione per il Premio Strega 2022. Il romanzo edito da Rubbettino è stato presentato alla competizione letteraria grazie a Marina Valensise, ed ha tutti i numeri per superare questa prima fase ed entrare nella dozzina dei finalisti.
Longo, criminologo ed ex poliziotto coinvolto in operazioni anticrimine entrate negli annali internazionali (e anche in un immaginario un po’ da leggenda, grazie a parallelismi con personaggi cinematografici ispirati alle sue gesta), sorprende ora per le doti di scrittore in un memoir avventuroso e sentimentale, del quale non si riesce ad interrompere la lettura fino all’ultima pagina. Il suo precedente libro, “Poliziotto” (Castelvecchi) ricordava la lunga amicizia con Federico Fellini ed era un diario di ricordi e pensieri, questo “Macaone” è invece un racconto di formazione che collega l’autore alle origini calabresi. Un emozionante percorso narrativo lungo un filo rosso esistenzialista, dove ci sono l’amore, l’amicizia, l’ideale della legalità, la vita e la morte.
Il protagonista del romanzo si chiama Nicola, rivelando la matrice autobiografica della narrazione, che inizia a Taurianova, nella dolce piana all’ombra dell’Aspromonte, in una famiglia numerosa dove un ragazzino spavaldo impara a vivere in un territorio dominato da ‘ndrangheta e omertà. Figlio del comandante della locale stazione dei carabinieri – un padre severo e di affetto pragmatico ma ritroso, a cui lui si oppone con la naturale ribellione dei figli - il giovanissimo Nicola è uno che non cede all’arroganza di un bulletto legato ai clan, sfida la sorte stendendosi sui binari al passaggio del treno e salva un coetaneo che rischia di annegare. Con lo stesso spirito ardimentoso molti anni dopo si tufferà nelle acque ghiacciate del Tevere per recuperare una partita di droga, in un intervento poliziesco trasformato in mito (lo rifece Tomas Milian nella sua saga del “Monnezza” Giraldi, agente sotto copertura tra i fricchettoni proprio come Longo).
Sullo sfondo di tutta la storia, che si apre nell’infanzia e attraversa l’esperienza nel pugilato con le Fiamme Oro e la straordinaria carriera in polizia, c’è una valle quasi incantata, fulcro di un genius loci intimista e misterioso, dove volano eteree farfalle dalle tinte preziose come oro: Nicola sogna di afferrare il sontuoso e sfuggente macaone, evocato nei sogni come un talismano. Titolo originario del libro era infatti proprio “La valle delle farfalle”, e Fellini ne rimase così affascinato da voler realizzare un film, tanto da perlustrare Roma in notturna sulla Kawasaki Z 900 di Longo, vincendo la sua fobia delle moto, per trovare i luoghi delle scene che già immaginava di girare.
Non è stato facile per Longo scrivere questo romanzo, che ha affrontato numerose stesure e anche qualche momento di spleen: nella postfazione lo scrittore racconta del disperato impulso di distruggere il manoscritto, che oggi esiste solo grazie al volitivo salvataggio di un’amica; e viene in mente un episodio simile accaduto a una grande autrice, Harper Lee, che voleva liberarsi del suo capolavoro “Il buio oltre la siepe” ritenendolo un fallimento.
“Macaone” è un esempio di come la vita vera superi la fantasia e produca piccoli miracoli. Impossibile non affezionarsi a Nicola, inquieto e passionale; e a tutti gli altri, dal tenero Schizzo, delinquentello che sogna di diventare ballerino e nel cui passato c’è la fuga da un destino luttuoso di faide, al leale commissario Capasso. Fa bene al cuore pensare che non sono frutto di fiction ma persone reali, che hanno lasciato un segno nello scrittore – abile poi a raccontarlo con lo slancio giusto per conquistare anche i lettori.
Non è un caso se lo sceneggiatore Tonino Guerra, che conosceva le vicissitudini di Nicola Longo, gli consigliò subito di scrivere un libro, che poi segnalò a Fellini. Oggi quel romanzo c’è e concorre al principale premio letterario italiano, portando con sé una prospettiva meridionalista inconsueta, lontanissima dagli stereotipi che purtroppo spesso infestano libri e film ambientati in Calabria.
La forza di “Macaone” è che stavolta non si cerca un revisionismo forzato, anzi si affondano le mani nude nella verità della nostra terra, dove tante ferite restano aperte e non servirebbe tentare di mistificare le cicatrici. Nessun autolesionismo, però: l’erba cattiva dell’umanità non è prerogativa calabrese. Nella letteratura autentica il particolare diventa universale. Così la storia di Nicola ci dice che quella metà oscura esiste ovunque, non solo sull’asfalto di una cittadina del sud dove un bambino può guardare senza filtri il cadavere di un morto ammazzato – feroce contraltare di un altro rito cruento, la spettacolare pesca del pescespada. No, il male alligna da Taurianova alla piazza Navona degli artisti hippy tra cui s’insinuano spacciatori di droga vampiri di giovani vite, fino alle bombe dei terroristi e i traffici criminali dei boss mafiosi di New York.
L’unico antidoto resta l’amore. Nella sua missione undercover Nicola prende il nome di Massimo Macaone, pensando a quella meravigliosa farfalla che desidera ma non catturerebbe mai, perché la sua bellezza deve continuare a rifulgere libera, insieme alle compagne, nella pioggia brillante di ali che al mattino sale dalla valle.

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