Arancia Meccanica tra Burgess e Kubrick
L’uomo è un meccanismo automatico, programmato dentro una scansione binaria di azioni buone o cattive. Ma non è lui a scegliere. La sua apparenza gradevole come quella di una sferica arancia è assoggettata a un dominio, un interruttore che qualcuno fa scattare dalla dolcezza alla brutalità. Con questa provocatoria teoria, nel 1962 Anthony Burgess pubblicava lo scioccante romanzo fantapolitico “Arancia meccanica”, che celebra un doppio anniversario insieme all’omonimo film di Stanley Kubrick, esploso nelle sale di tutto il mondo come una vero detonatore un decennio dopo la pubblicazione del libro (negli Usa esordì un anno prima). Capolavori che compiono sessanta e cinquant’anni, ai quali non si può disconoscere autonomia reciproca, eppure due opere legate indissolubilmente. Lo scrittore britannico pretese persino il cambiamento dei titoli delle edizioni straniere tradotti diversamente da quello del film (una di queste fu la traduzione italiana Einaudi, in origine intitolata “Un’arancia ad orologeria”). Corrispondenza artistica ma pure marketing: fu il film a rilanciare il romanzo, che fino a quel momento, penalizzato da una fama respingente, aveva incassato pochissimo.
Con quell’astrusa espressione il dialetto londinese cockney evocava una condizione di sballo, paradossalmente molto più vicina al libero arbitrio di quanto lo fosse il lavaggio del cervello politico denunciato nel romanzo. Un libro non immorale ma amorale – l’arte rifiuta i condizionamenti etici, ma l’opinione pubblica non è mai riuscita a farsene una ragione. Nel 1962 quell’orgia di cattiveria pura e cruda fu scioccante e ancora oggi il romanzo è bandito in molti paesi. Su pressione degli editori venne aggiunta una conclusione alternativa per espiare le colpe di Alex, che stride con il tono satirico e dissacrante dell’intera narrazione. Così stonato da non piacere neppure nei puritani Usa, dove tagliarono quel capitolo, giudicandolo noioso. Nella revisione consolatoria il carnefice Alex è diventato un onesto membro della società e anche gli altri ragazzi hanno seguito percorsi borghesi, sposandosi e mettendo su famiglia. Kubrick, che lesse l’edizione americana dove questa redenzione non esiste, quando scoprì l’edificante compitino del libro rimaneggiato rimase allibito. Ovviamente l’epilogo del suo film si ferma prima di quell’appendice di mistificatoria speranza. Nel’umanità la cattiveria esiste, inutile illudersi che se ne possa guarire.
Le storie di romanzo e film procedono parallele ma indipendenti. Burgess riconobbe a Kubrick una riscrittura innovativa, approvata perché entrambi giungevano alla stessa conclusione: esaltare l’autodeterminazione di chi agisce lucidamente per torturare e uccidere – eroico perché si sottrae all’asservimento mentale di massa. Alex DeLarge e i suoi amici sono adolescenti ma non studiano né lavorano: la loro unica occupazione è infliggere violenza senza scopo, soltanto per il sadico divertimento di cagionare dolore. L’ambientazione è distopica – Londra in un futuro incerto - e l’effetto straniante è amplificato nell’invenzione linguistica del Nadsat, gergo surreale che incrocia l’inglese e il russo. I neologismi utilizzati da Alex sono bizzarri e s’ispirano a onomatopee animalesche, che durante il racconto di efferate sevizie risuonano agghiaccianti. La malvagità desensibilizzata dei “soma”, cioè amici (citazione della droga ipnotica elargita per tenere in catene il popolo nel “Mondo nuovo” di Huxley, che nel film si trasforma nel mitico droog, drugo), è uno stato di fatto, un elemento naturale che Alex appaga spontaneamente. Decenni più tardi ritroveremo le devocka, giovani donne attraenti oggettificate come balocchi per il piacere sessuale, nelle corpo duro di “American Psycho” di Easton Ellis – ma lì c’è il delirio di uno psicopatico, qui il male è semplicemente evento, non ha causa efficiente né radici patologiche.
Dopo aver compiuto delitti raccapriccianti, Alex viene arrestato e le autorità governative lo danno in pasto alla propaganda anticrimine sperimentando su di lui la cura Ludovico, una terapia che prevede la somministrazione di farmaci che inducono insopportabile nausea: in questo stato lancinante sarà sottoposto a una massiccia visione di immagini violente. Il sottofondo della Nona Sinfonia di Beethoven, brano amato da Alex, da quel momento sarà associato a sentimenti di orribile avversione. Letteralmente riformato dal trattamento, Alex può rientrare nella comunità civile ma, ridotto a un essere debole e inerme, subirà la vendetta delle sue vittime e tenterà il suicidio. Nel finale del film, i rappresentanti del governo, travolti dalle polemiche sulla cura Ludovico, riprogrammano Alex e il giovane, assolto dal riconoscimento sociale, tornerà alla vecchia vita, legittimato nelle sue scorribande brutali. L’epilogo del libro invece vede Alex incapace di trarre godimento dal male e alla disperata ricerca dell’amore e la paternità. Generare un figlio è però l’ennesimo obbligo sociale, che contribuirà a formare una prossima generazione altrettanto turpe e dannosa.
La divaricazione tra le due opere proseguì con l’urgenza di Anthony Burgess di chiarire il senso del suo libro, a se stesso e ai lettori. Il film è compiuto, la scrittura no. Una traccia metaletteraria già si trovava, nel romanzo, nella casa dello scrittore (alter ego di Burgess, che a Giava assistette allo stupro della compagna): al momento della terribile visita a sorpresa il romanziere del libro sta infatti lavorando a un manoscritto, “Arancia ad orologeria”; nel 1986 Burgess torna sull’argomento con un saggio intitolato proprio così, spiegando che la molla capace di azionare l’impeto bestiale sotto la tondeggiante soavità dell’arancia è caricata da padroni ben precisi, “Dio, il Diavolo o lo Stato onnipotente”.
Vietato a minori di 18 anni fino al 1998 e nel 2020 entrato nella lista delle pellicole conservate nella biblioteca nazionale del Congresso, l’iconico film di Kubrick è stato invece fucina ispiratrice di malvagità cinematografiche eccellenti (vestono di bianco gli angelici giovanotti che sterminano amene famiglie in vacanza in “Funny games” di Michael Haneke). Chi nelle sale italiane vide la pellicola per adulti la ricorda come un’esperienza sconvolgente. Incredibile come possano far tanta paura il ritmo onirico del rallenty e gente che uccide fischiettando “Singing in the rain”, beve latte edulcorato e indossa ridicole bombette.
Per capire il controverso messaggio di Burgess e Kubrick bisogna fare lo sforzo di aprire gli occhi su una verità più spaventosa dell’ultraviolenza. L’Alex docile terrorizza e impietosisce perché sappiamo che la sua non è volontà, e quindi non c’è redenzione. «E’ preferibile – dichiarò il romanziere - un mondo di violenza assunta scientemente a un mondo programmato per essere buono od inoffensivo. Arancia meccanica è un manifesto sull'importanza di poter scegliere». Se gli è tolta la libertà di scelta, questo non è più un uomo.
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