L'immensità



Un campionario di solitudini e tutte le gradazioni d’infelicità che si possono provare in una famiglia. “L’immensità” di Emanuele Crialese è un’opera dolorosa ed emozionante, che forse non sarebbe così bello se non ci fossero Penelope Cruz intensissima e di una bellezza mozzafiato, e la sorprendente tredicenne Luana Giuliani. Crialese ha il tocco d’artista del grande cinema del passato, ma il suo sguardo dà valore e nello stesso tempo un po’ danneggia il film. La scelta del regista di rendere pubblica la vicenda personale a cui s’ispira la storia (l’adolescenza di Andrea, nato in un corpo femminile, che vuole affermare il suo genere) entra in modo invadente nella narrazione e la inquina di gossip, interrompe un miracolo di universalità già sprigionato e pronto a compiersi. Laddove invece, isolando il fatto reale dal racconto cinematografico, ci si accorgerebbe subito della preziosità di questo film. E’ vero, Andrea è Emanuele ma è stato lo stesso regista (sospettato di aver lanciato la rivelazione gender fluid in piena mostra di Venezia e a ridosso dell’uscita dell’Immensità nelle sale), a spiegare di aver parlato di sé per dare un messaggio forte in un’epoca buia. E però che con il film tutto questo non c’entra. Perché la storia di Andrea è indipendente dal suo autore e non ha bisogno di appigli sensazionali per colpire al cuore. Non ha bisogno neanche di una cronaca voyeuristica sulla transizione (che in tanti invece avrebbero voluto vedere per "movimentarla").
Se il film è bello molto del merito va a Penelope Cruz, lo abbiamo già detto. La star spagnola è magnetica con i suoi occhi disperati, le labbra sensuali e la voce spezzata; canta benissimo (lo avevamo visto in “Volver”) e diventa Mina e Raffaella Carrà (citazione, questa, con rimandi autobiografici, perché il giovane Emanuele scoprì dell’esistenza dei transgender grazie a un’intervista choc della regina televisiva); è idolo e insieme nemica perfetta per una ragazzina che si sente maschio ma detesta la virilità tossica e ama la forza materna femminile (quella madre strana e follemente carismatica, come già in "Respiro"). Siamo fatti di tante cose, come nella materia il nucleo è una matrioska che ne contiene tante: la parte dura della vita è capire se sia più importante quello che c'è fuori o quello che abbiamo dentro e nessuno vede. Le Barbie fatte a pezzi e ricomposte, la complicità istintiva con la madre sono metafore di un'identita' di genere onnicomprensiva, dove il corpo si sente maschile ma l'animo mantiene la sua complementarietà del sesso opposto. Andrea nato femmina è un maschio per diventare uomo capace di difendere una donna da abusi e sopraffazioni. 
“Io non fingo”, grida rabbioso Andrea, ma la madre continua a chiamarlo Adriana e dividere con quella figlia amatissima iperboliche fantasie e giochi di folletti che non la preoccupano perché i bambini hanno sempre ragione, anche se vedono nuvole nel cibo o disseminano escrementi in casa. 
Il padre di Andrea e i suoi fratellini (Vincenzo Amato) è un classico prototipo patriarcale: anaffettivo e autoritario, passa da un’amante all’altra ma tiene legata a sé la moglie considerando la separazione una vergogna. Tra tanti diversi l’unico normale, cioè un mostro cinico e violento.
Atmosfere vintage (Carrà ma anche Celentano e tanti deliziosi brani d’epoca, tra cui quella del titolo, cantata da Don Backy e Johnny Dorelli), inquadrature tragiche e l’irruzione di scene surreali sono la cifra poetica di un film ingenerosamente caricato di aspettative. Per vederne la pura bellezza basterebbe sentire la morsa viscerale di un ricordo che appartiene a ogni vita, quello del lancinante abbandono dell’infanzia verso un’esistenza dove i sogni dei bambini non si realizzeranno più. Crialese regala un tenero pudore al primo innamoramento di Andrea per la rom Sara (avrebbe potuto metterci a bella posta scoperte prepuberali ammiccanti, che non sono sottintese ma sospese in un'immatura ritrosia, rimandate e custodite in un desiderio ancora guardingo e timoroso). In un mondo ideale e parallelo, Andrea, i fratelli e la madre riceveranno i superpoteri che chiedono indifferentemente agli alieni e al Cristo dell’ostia benedetta. Non più corpi e anime sbagliati, ma eroi capaci di far durare per sempre quell’amore tenacemente difeso eppure scomparso.

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