L'immensità
Se il film è bello molto del merito va a Penelope Cruz, lo abbiamo già detto. La star spagnola è magnetica con i suoi occhi disperati, le labbra sensuali e la voce spezzata; canta benissimo (lo avevamo visto in “Volver”) e diventa Mina e Raffaella Carrà (citazione, questa, con rimandi autobiografici, perché il giovane Emanuele scoprì dell’esistenza dei transgender grazie a un’intervista choc della regina televisiva); è idolo e insieme nemica perfetta per una ragazzina che si sente maschio ma detesta la virilità tossica e ama la forza materna femminile (quella madre strana e follemente carismatica, come già in "Respiro"). Siamo fatti di tante cose, come nella materia il nucleo è una matrioska che ne contiene tante: la parte dura della vita è capire se sia più importante quello che c'è fuori o quello che abbiamo dentro e nessuno vede. Le Barbie fatte a pezzi e ricomposte, la complicità istintiva con la madre sono metafore di un'identita' di genere onnicomprensiva, dove il corpo si sente maschile ma l'animo mantiene la sua complementarietà del sesso opposto. Andrea nato femmina è un maschio per diventare uomo capace di difendere una donna da abusi e sopraffazioni.
“Io non fingo”, grida rabbioso Andrea, ma la madre continua a chiamarlo Adriana e dividere con quella figlia amatissima iperboliche fantasie e giochi di folletti che non la preoccupano perché i bambini hanno sempre ragione, anche se vedono nuvole nel cibo o disseminano escrementi in casa.
Il padre di Andrea e i suoi fratellini (Vincenzo Amato) è un classico prototipo patriarcale: anaffettivo e autoritario, passa da un’amante all’altra ma tiene legata a sé la moglie considerando la separazione una vergogna. Tra tanti diversi l’unico normale, cioè un mostro cinico e violento.
Atmosfere vintage (Carrà ma anche Celentano e tanti deliziosi brani d’epoca, tra cui quella del titolo, cantata da Don Backy e Johnny Dorelli), inquadrature tragiche e l’irruzione di scene surreali sono la cifra poetica di un film ingenerosamente caricato di aspettative. Per vederne la pura bellezza basterebbe sentire la morsa viscerale di un ricordo che appartiene a ogni vita, quello del lancinante abbandono dell’infanzia verso un’esistenza dove i sogni dei bambini non si realizzeranno più. Crialese regala un tenero pudore al primo innamoramento di Andrea per la rom Sara (avrebbe potuto metterci a bella posta scoperte prepuberali ammiccanti, che non sono sottintese ma sospese in un'immatura ritrosia, rimandate e custodite in un desiderio ancora guardingo e timoroso). In un mondo ideale e parallelo, Andrea, i fratelli e la madre riceveranno i superpoteri che chiedono indifferentemente agli alieni e al Cristo dell’ostia benedetta. Non più corpi e anime sbagliati, ma eroi capaci di far durare per sempre quell’amore tenacemente difeso eppure scomparso.
Commenti
Posta un commento