Judy Blume Forever


Le preadolescenti di oggi non ci crederanno ma c’è stato un tempo in cui le loro coetanee parlavano di mestruazioni come in una società segreta e del ciclo sapevano soltanto quello che dicevano le amiche o sorelle maggiori.

Soprattutto cose terribili, come si vedeva nei film - “Carrie” ricoperta di sangue e posseduta da istinti omicidi. Da noi continuò così per un bel po’ ma negli Usa (ed era già il 1970) nel arrivò “Ci sei Dio? Sono io, Margaret” di Judy Blume, autrice per ragazzi che in quel romanzo osava parlare di assorbenti, tampax e pubertà nei suoi dettagli fisici più espliciti. Con una protagonista che ha 13 anni e nelle stesse pagine in cui Margaret, confusa e in cerca di risposte, si rivolge a Dio. Fu subito censura per quella scrittrice senza particolare gloria, fino ad allora innocua nel suo ghetto minoritario di letteratura per bambini. Un’etichetta che a Blume, moglie e madre americana iconicamente perfetta, faceva male, ma il bello lei non voleva cambiare genere: aveva sempre voluto parlare ai bambini molto più che agli adulti, rivendicando che questo non significhi non essere una scrittrice vera.


Negli Usa “Margaret” (lo chiamerò semplicemente così, come lo conoscono in tutto il mondo) è diventato un film in uscita in questi giorni e che a breve vedremo anche in Italia, e su Amazon la vita dell’autrice oggi 83enne è al centro del documentario “Judy Forever”, titolo ispirato a un altro suo celebre romanzo, dove – a proposito di temi tosti in età acerba – si parla di una prima volta e della perdita della verginità. Sembrerebbe irrilevante e neanche tutta questa grande impresa, ma provate a farlo scrivere a una giovane americana che si occupa a tempo pieno di due figli mentre il marito ovviamente è un professionista che sta tutto il giorno fuori e porta i soldi in famiglia. A lei quella vita non dispiace (ma vedremo poi che si riserverà di cambiare idea) e proprio perché vuole crescersi i figli pensa che sarebbe una buona idea dedicarsi alla scrittura come lavoro da fare in casa. Gli inizi sono la solita trafila: Judy invia i suoi testi a editori che la bocciano con parole così dure da ridurla in lacrime. Per lei essere pubblicata diventa una questione vitale. Autodeterminarsi, scoprire se ha vero talento e qualcuno investirà mai sulla sua letteratura. Avrà bisogno di una piccola dose di patriarcato, perché il primo contratto glielo procurerà il marito (di cui ha sempre mantenuto il cognome, lei si chiama in realtà Sussman), ma la vera svolta sarà poi quel libro borderline, che diventa un caso e la trasforma in autrice best seller.

Judy non ha mai dimenticato di essere stata una ragazzina con genitori a cui dimostrare eccellenza e perfezione, faticosi da amare negli standard di aspettative ambiziose. Una mamma che crede nel tuo valore e ti spinge al massimo è un’arma a doppio taglio: Judy ci riesce ma le resta addosso un’ansia da prestazione incancellabile. Non ha dimenticato quello che pensava a 13 anni, e per questo la sua Margaret conquista i lettori coetanei. Nel documentario la scrittrice spiega come avesse in testa e nella memoria il sentimento della se stessa tredicenne piena di dubbi, paure, domande impudiche e impossibili da porre a una madre senza morire di vergogna. E’ la vera parola di tutta questa storia, la vergogna. Prima che arrivasse Margaret le mestruazioni erano qualcosa da nascondere e per cui provare imbarazzo. Però le ragazze che lessero quel romanzo iniziarono a pensare che se ne parlavano in un libro forse avrebbero potuto farlo anche loro.
Judy capisce di aver scritto qualcosa di speciale perché, come una star, le giovanissime lettrici le inviano lettere dove raccontano dei litigi con i genitori, del bullismo e i tormenti subìti come Linda in “Blubber”, di quello che non amano dei propri corpi o di quando, come Margaret, hanno invidiato un’amica con il seno già florido o sospirato quel menarca che tardava ad arrivare ammettendola nel mondo delle donne. Il ciclo per loro è la chiave del forziere di misteri che gli adulti custodiscono escludendole (Judy racconta di come da bambina odiasse quella segretezza superiore e non condivisa, che lasciava immaginare chissà quali verità negate ai piccoli).

Per le ragazzine del 1969 Judy è la mamma di Margaret, conosce pensieri e desideri delle tredicenni, le capisce e la considerano sincera. La messa al bando dei suoi romanzi, respinti da scuole e biblioteche americane, e le maledizioni degli antenati degli haters (via posta, i social non esistevano) l’ha sempre trovati incomprensibili: “Come può un libro fare male a un bambino?” – ed è la più bella dichiarazione d’amore verso la lettura.
Le lotte femministe vedono Judy ancora a casa con i suoi figli, lontana dalle sorelle che protestano in piazza. Avrebbe voluto essere lì ma non poteva, così riversò la sua ribellione nella scrittura, un femminismo senza luogo e tempo, ugualmente rivoluzionario. “Deenie” è uno scandalo delizioso: la storia di un’adolescente bellissima che la madre spinge verso la professione di modella, ma quel sogno è infranto da una grave scoliosi e l’obbligo di indossare il busto. La protagonista si chiama come il meraviglioso personaggio di “Splendore nell’erba” di Elia Kazan, ovvero Natalie Wood nel ruolo struggente di una ragazza impazzita per amore e distrutta dal puritanesimo ipocrita della sua comunità. Nel film Deenie chiede alla madre se è normale il suo desiderio verso il fidanzato, e si sente rispondere con disgusto che no, cosa le viene in mente, quello capita solo ai maschi. Nel libro Deenie ha un suo posto speciale, qualcosa che ha bisogno di fare da sola per provare sensazioni che la rendono felice. A scuola la prof di educazione fisica le svelerà che non è una sua esclusiva e sembra lo facciano anche altre. E insegnerà alle allieve che quel qualcosa ha un nome, si chiama masturbazione. Se non è rivoluzione mettere questa parola in un romanzo per ragazzi, lo sono pochissime altre cose. Le femministe sfilavano gridando slogan, Blume spiegava alle ragazzine che se si masturbavano o pensavano al sesso non erano anormali - una preside sottovoce le ammise che se nel libro a masturbarsi fosse stato un ragazzo sarebbe stato “normale”. Invece non c’erano i maschi con quell’idea fissa e le femmine a sognare casti baci e passeggiate mano nella mano. No, era uguale per tutti e tutte.

Nel documentario tante ex ragazzine mostrano i libri di Judy Blume. Anch’io ne ho uno e che emozione vedere quella copertina e sentirmi parte di quella società femminile accomunata da una fatica di crescere diversissima da quella delle adolescenti di oggi. Anch’io come tutte quelle ex ragazzine con mia madre ho dovuto fingere di non sapere cosa mi stesse accadendo quando ho sanguinato la prima volta e poi concentrarmi sulle esigenze pratiche per toglierla dal disagio delle spiegazioni, che era incredibilmente forte ed evidente. Avevo una sorella minore e mi era stato consigliato di non farle capire nulla perché era troppo piccola (eccoli, i segreti degli adulti che Judy non sopportava) e ricordo le acrobazie per recuperare gli assorbenti, occultarli sotto i vestiti e chiudermi in bagno per cambiarmi. Cose simili nel docufilm le raccontano le donne intervistate: siamo una grande famiglia di Margaret, di Deenie, di ex ragazzine disorientate a cui avevano detto che il ciclo era una condanna (“curse” lo chiamavano all’epoca in America in film e libri) e dovevamo sopportarlo con discrezione. Oggi, all’estremo opposto, c’è gente che conserva il sangue mestruale in ampolle o ciondoli di collanine cringe, ma se possiamo parlarne liberamente e pure celebrarlo è anche un po’ grazie a Judy.
In “Forever” il primo rapporto sessuale (e, apriti cielo, il primo orgasmo femminile) incarna l’illusione romantica dell’amore eterno; in “Wifey” la scrittrice mette nero su bianco la sua crisi matrimoniale. Non è più felice in quel rapporto, sopravvissuto soltanto perché a tenerla accesa c’era la scrittura, che colmava i vuoti e illuminava le ombre. Per chiuderlo fa la cosa più sbagliata, cioè lascia un marito-padre per gettarsi tra le braccia di un altro, cambiando addirittura stato e portandosi dietro i figli. Un errore, che ancora oggi ricorda senza riuscire a trattenere un pianto carico di colpevolezza.
Oggi Judy ha un terzo marito, quello giusto, e abita in Florida. Non riesce a credere di avere 83 anni (e neanche noi, il suo sorriso è lo stesso delle immagini di repertorio da ventenne) e ha fatto una nuova, incredibile scoperta. C’è un tempo per scrivere e non dura in eterno. La scrittura, come tutte le passioni, consuma e forse finisce. Soprattutto, è una pratica solitaria e chiusa, e a un certo punto Blume ha sentito che non ce la faceva più e doveva uscire. Si sta prendendo una pausa, sempre in mezzo ai libri: ha aperto una libreria dove altri ragazzini continuano a incontrarla e parlare con lei dei suoi romanzi. Che speriamo, sull'onda del film, di poter rivedere in edizione italiana (sono attualmente introvabili se non ordinandoli all'estero in lingua originale).
Il suo femminismo fuori da regole e schemi ci dice che la vera emancipazione femminile è nella libertà di fare quello che desideriamo ascoltando noi stesse. Essere quello che vogliano e non quello che si aspettano da noi, cosa che ci accade da circa due millenni ed è l'unica cosa davvero anormale.
La nuova battaglia di Judy è contro l'associazione di giuristi della Florida che chiede il divieto di leggere nelle scuole libri che parlino di sesso e gender. "Dicono che vogliono difendere i bambini dall'apprendere cose che possono essere poco carine e che a quell'età dovrebbero leggere soltanto storie a lieto fine. In realtà quello che vogliono è che i bambini non pensino, non conoscano". 

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