Otto Marzo, appunti sparsi dall'anno 2024 delle donne
Poco: parlare soltanto di storie di violenza e abusi. Perché è chiaro che la prevenzione di questi fenomeni fa parte del movimento per il riconoscimento di tutti i diritti di genere e che la sottomissione fisica, psicologica ed economica è il cuore del problema. Ma abbiamo un'altra data importantissima per ricordare cosa si debba fare contro l'uccisione di donne per mano maschile, ed è il 25 novembre. Parlare soltanto di violenza l'8 marzo lo ritengo controproducente: le donne restano nel cono delle vittime, e non si accendono i fari sul fatto che siamo pagate di meno; che se vogliamo una famiglia spetta a noi la cura dei figli e non possiamo voler pure lavorare e realizzarci (come gli uomini, a cui è concesso di essere padri felici e avere una carriera senza pensarci troppo); che siamo bersaglio di giudizi minoritari e molestie (il fatto che non sconfinino nella violenza non le rende lecite); che le differenze fisiche tra uomo e donna siano sottolineate sempre a nostro svantaggio e mai quando ci varrebbero qualche doverosa forma di sostegno sanitario o previdenziale.
Nulla: continuare a chiamarla festa della donna, a fare battute sulle mimose e i poveri uomini repressi nel loro istinto cavalleresco di farci gli auguri, sulle comitive di signore assatanate in libera uscita una volta all'anno e in cerca di alcol e ballerini dream men nudi. Cosa c'è di male? Niente, anzi mi fa un po' di tenerezza. Però è un'usanza ormai vetusta almeno come Miss Italia e i concorsi di bellezza. Se qualcuno dicesse a quelle signore che possono farlo una volta a settimana, ne beneficerebbe anche il business di settore.
Nella Giornata internazionale della donna il focus dovrebbe essere sugli obiettivi, le misure e i programmi politici per consentire alle donne di sfondare il tetto di cristallo e arrivare alle posizioni apicali raggiunte da pochissime. Dovrebbe anche essere un momento di riflessione su cosa facciano le donne che sono lì, in alto - che non è detto siano migliori degli uomini e soprattutto che, avendone il potere, agiscano per migliorare la condizione femminile. Chiara Ferragni è donna e madre, un'imprenditrice di successo che ha costruito un impero di società commerciali, merchandising e spettacolo. Sostiene di aver commesso un errore di comunicazione, ma è sotto inchiesta per un reato odioso e se appare su una copertina con un'immagine choc che evidenzia il suo lato oscuro (come è stato fatto per molti altri personaggi) subito si grida alla violenza di genere - qui rivendicazione fuori luogo, ben più violenta è stata l'onda d'odio che ha travolto la regina delle influencer in questi mesi sui social.
Devo anche dire che questo è un 8 marzo particolare, che arriva dopo un femminicidio diverso da tutti gli altri per il modo in cui ha scosso la coscienza collettiva. La morte di Giulia Cecchettin, una giovane donna che stava costruendo il suo futuro con lo studio e nella libertà di voler interrompere una relazione sentimentale - uccisa proprio per questo - e la sua memoria difesa e urlata dalla sorella Elena e dal padre Gino, hanno rotto gli argini di tutto quello che abbiamo sinora sopportato. Che è tanto, e percorre infinite generazioni. Nonne, madri, figlie. E incredibilmente, nonostante oggi di patriarcato e abusi se ne parli tanto e dappertutto, le più giovani sono persino meno consapevoli. Per questo le parole di Elena Cecchettin - una di loro, con i piercing e le felpe dark - fanno breccia nelle adolescenti, piantano un seme, invitano a guardarsi intorno e interpretare quello che accade senza subirlo passivamente.
Pensando ai terribili femminicidi degli ultimi mesi (Cecchettin ma anche la dolce Tramontano con il suo bambino in grembo), in questo 8 marzo non è possibile non parlare di violenza. Ma credo che dovremmo farlo non dall'angolo delle vittime, perché quelle morti ci hanno dato una sveglia forte e per loro - ci dice Elena - non dobbiamo più stare zitte.
Ho notato piccole cose che mi sono piaciute. Una commerciante che su Instagram vende i suoi abiti indossandoli con movenze sensuali anche se il suo corpo non è da top model. La reazione degli haters è prevedibile, tra insulti e sfottò (più da parte di donne), ma poi accade qualcosa. Mesi dopo le critiche diminuiscono e tanti commenti sono di complimenti per la sua verve, la simpatia e, sì, anche la bellezza. E' bella perché sta bene con se stessa e si vede.
Poi c'è Loredana Bertè che se ne frega dell'età e sfoggia gambe nude sempre perfette e ha insegnato a tutte ad amarci e perdonarci. A farci da sole le carezze che non sappiamo chiedere, a smettere di odiarci tanto lo faranno gli altri e quindi meglio ballare sulle vipere con i nostri tacchi a spillo. E c'è Elisa Esposito, la tiktoker bonazza simbolo di ignoranza con il suo corsivo, che risponde per le rime a chi le dice che è ingrassata e si mostra in tutine attillate che evidenziano il ventre gonfio, rivendicando la gioia di mangiare senza curarsi della bilancia.
Detta così sembra facile, ma non tutte siamo Bella Baxter, la povera creatura che fa quello che vuole usando gli uomini e accettando di usare a sua volta il corpo e la sessualità come strumenti di potere. Non lo siamo perché al mondo le donne che decidono di esprimere volontà e desideri oltre gli schemi costituiti danno un grande fastidio. Agli uomini, ovviamente, che non possono più controllarle. Ma anche alle altre donne che non hanno la forza o la consapevolezza di avanzare dalle retrovie in cui sono state atavicamente poste.
Questo è il passaggio più ostico. La libertà è un percorso accidentato e scivoloso, pieno di trabocchetti ideologici. Spogliarsi e vendersi virtualmente su Only Fans o realmente nella prostituzione è libertà? Essere protagoniste di pornografia basata sul male gaze e fantasie maschili prevalentemente accese da umiliazioni e violenze è libertà? Costruire un progetto di vita sul matrimonio con un uomo benestante senza nessun'altra aspirazione se non quella di una bella casa, soldi elargiti per pagare i conti e fare spese costose, è libertà?
Ogni scelta è personale, ma alcune purtroppo hanno effetti collettivi perché continuano ad alimentare il modello patriarcale che impedisce alle donne di superare le discriminazioni. Diciamo che un abbigliamento sexy e con il corpo in mostra sia ad appannaggio del narcisismo di chi lo indossa e non mirato al compiacimento maschile. Ma chi ci ha insegnato che si è belle con il reggicalze e il perizoma, o con un seno prosperoso e le labbra carnose? Perché quando ci rivolgiamo al chirurgo plastico perché non siamo soddisfatte del nostro corpo chiediamo di trasformarci in bambole tutte uguali e proprio con il tipo di fisicità che eccita gli uomini?
Tra le scelte metto anche la maternità, terreno che dovrebbe trovarci solidali e invece è divisivo: una donna senza figli (che sia per scelta, destino o impedimento fisico) non deve sentirsi minorata, questo lo diciamo da anni; ma chi vuole essere madre ed è gratificata da questo ruolo, anche esclusivo, non deve essere additata come nemica del femminismo.
E a proposito di femminismo, dobbiamo arrenderci al fatto che è diventato un palcoscenico concorrenziale. Io lo sono, tu non lo sei. Il mio è quello vero, il tuo è facciata. Mi sono spesso chiesta se si possa essere femministe stando accanto a un uomo tossico, o pessimo verso le donne. La risposta ovvia è no. Ma poi se ci penso meglio dico che la differenza sta nel tipo di rapporto che instauriamo con un padre, un fratello, un marito maschilista. Un uomo che amiamo e ci ama, e da qui possiamo partire per un venirci incontro e fargli vedere le cose da un punto di vista nuovo. Lo ha detto Gino Cecchettin, ammettendo di non conoscere il patriarcato di cui lui stesso è stato parte, finché dopo la perdita di Giulia non glielo ha spiegato Elena.
La sorellanza non esiste, facciamocene una ragione. Ed è un peccato, perché quelle poche volte che mi è sembrato di avvertirla tra me e un'altra donna, mi sono sentita fortissima.
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