Baby Reindeer



Una volta, parlando di un’altra persona, un amico mi disse che quello aveva proprio l’aspetto di uno che eccetera eccetera. Un’altra volta dissero qualcosa di simile su di me – però direttamente a me, e lo apprezzai – cioè che io davo l’impressione di essere una persona facile da sopraffare. Ma il concetto per qualcun altro si declinava in modo diverso: io appaio come una persona spesso in difficoltà e che però ispira voglia di proteggerla, andare in suo soccorso. Aggiungendo che la mia è una caratteristica molto femminile con doppia interpretazione – da una parte attraente, dall’altra capace di far leva su una sorta di gattamortismo ovviamente fintissimo e con finalità opportunistiche.
Sono considerazioni emerse dalla mia memoria dopo aver visto la serie tv Netflix “Baby Reindeer”, e che mi hanno fatto pensare che quelle catalogazioni di persone (spesso su lombrosiane caratteristiche fisiche ma anche basate su posture, movenze, gestualità e timbro di voce) traducono ciò che il protagonista Donny intende quando dice: “L’abuso mi ha reso carta moschicida per svitati”.
Film e soprattutto serie con personaggi schizzati, psichicamente turbati o socialmente pericolosi ce le lanciano addosso a dire basta. Lo stesso vale per le situazioni torbide e le scene crude e violente. Ho voluto vedere BR per un istinto inspiegabile (da anni evito le serie perché non ho più la pazienza né il tempo per maratone televisive, l’ultima era stata il primo Squid Game e quindi con un termine di paragone quasi inarrivabile) e ho capito subito che qui c’era qualcosa di più. Il bello (o l’astuzia se volete) è che non sappiamo cosa sia ma sentiamo la prossimità di un evento orribile, di una scoperta a cui dobbiamo assolutamente assistere, come la chiave di una conoscenza segreta. Questo ci induce ad andare avanti – una rarità per me, che senza sensi di colpa abbandono dopo pochi minuti ciò che non mi fa scattare la scintilla dell’interesse.

Poche parole sulla trama. Donny è un giovane barista che sta tentando di sfondare come comico, il sogno della sua vita non scevro da lusinghe di fama e soldi. Vorrebbe essere il nuovo Ricky Gervais, anche se non osa dirlo neanche a sè stesso ma è davvero convinto di avere talento. Un giorno nel pub entra Martha, quarantenne obesa che a lui sembra sola e triste (su questo tornerò, Donny lo pensa dopo un secondo dall’ingresso della donna sconosciuta nel locale), e poi quando lei afferma di non potersi permettere un tè, glielo offre. Quel gesto gentile accende in Martha un’attrazione che presto diventa ossessiva e la trasforma in stalker ma la persecuzione è anche attraversata da confidenze, empatia e vicinanza tra i due. Martha però è innamorata e vuole Donny ad ogni costo, anche contro la sua volontà. Il giovane si decide a denunciarla dopo alcuni mesi di mail dal contenuto minatorio quando scopre che nel passato di Martha ci sono precedenti penali ed episodi di violenza, ma è troppo tardi e la vicenda ha ripercussioni sconvolgenti sulla sua vita, i rapporti sentimentali e familiari, la carriera di comico, e soprattutto fa tornare a galla un trauma mai superato.

La serie è scritta e diretta dal comico scozzese Richard Gadd, che interpreta Donny e racconta una sua personale esperienza a cui aveva dedicato anche un’omonima opera teatrale. Ed è il modo migliore per farci arrivare come un pugno di ferro in faccia la scena più emotivamente potente della serie, la confessione che Donny, in scena davanti a un pubblico che continua a non ridere delle sue gag, lo spinge a piangere e raccontare tutto della sua esistenza in frantumi. Tutto. Anche le frustrazioni, i fallimenti e il trauma che lo ha segnato profondamente. Si tratta di quello che fa lo stesso Gadd riproducendo nella serie i reali messaggi vocali e i testi che ricevette dalla vera stalker a cui è ispirato il personaggio di Martha. E quello che ciascuno di noi vorrebbe fare: salire su un palcoscenico e buttare fuori il marcio delle nostre vite in un fiume in piena di acqua sporca, fango e detriti. L’obiettivo però non è il gorgo che risucchia e distrugge (anche se Donny annuncia che senza lo sblocco di quello spontaneo reality show si sarebbe ammazzato), ma l’approvazione e la solidarietà di chi ci sta vedendo in quello stato, ci ascolta e finalmente ci fa esistere. Per Donny sembrava non essere accaduto e invece il classico video girato da uno spettatore e sparato in rete diventa virale e gli vale popolarità e ingaggi.

Le cose iniziano a girare per il verso giusto, ma il passaggio di Martha ha già seminato troppi cadaveri e risvegliato fantasmi implacabili. Donny è stato vittima di uno stupro (che sullo schermo si svolge con la rappresentazione più scioccante possibile, quella di chi lo ha subìto in stato di incoscienza e ne ricorda solo gli effetti, il male fisico, la vergogna, la sensazione di un guasto insanabile) e le aggressioni che gli infligge la stalker, tollerate passivamente per anni, gli svelano una verità terribile. La carta moschicida: Donny è marchiato, emana un segnale fosforescente di persona abusata e ormai rotta dall’abuso, piena di crepe nelle quali ci si può insinuare impunemente. E’ lui ad essere tornato nella casa del suo violentatore per nutrire l’illusione della fiducia di quell’uomo influente nella qualità dei suoi testi comici (e il miraggio di lavorare in un programma famoso). E’ lui ad aver letto le mail di Martha, accettato di interagire con lei, temporeggiato nel denunciarla alla polizia – un’iniziativa che poi sarà di pochissimo aiuto, tra burocrazia e pregiudizi, un tema che le donne violentate conoscono bene ma stavolta riguarda un uomo con il sottotesto di scarsa credibilità.

La mente di Donny si divarica tra memoria, fantasia e realtà. Non è più sicuro di nulla, valuta come perversioni indotte la propria bisessualità, le relazioni promiscue e di puro consumo reiterate nel periodo successivo alla violenza, la strana connessione con Martha che si rivelerà bisogno di quelle attenzioni morbose. Molte di queste cose la voce narrante del protagonista ce le racconta, altre sono flash mentali, allucinazioni, continui sbalzi temporali tra gli episodi con lo spartiacque-spannung dello stupro. Lì pensiamo di aver visto il momento peggiore, invece non è così. Insieme a Donny scaviamo nella metà oscura e la serie – che fino a oltre la metà dell’intera durata ha mantenuto atmosfere angoscianti da thriller psichedelico ma con il filtro della distanza tra noi e i personaggi – cambia ancora e spiazza perché instilla dubbi sul significato di quello che accade.

Martha è stata processata e condannata (dichiarandosi colpevole nella resa totale alla lancinante sofferenza di un amore non corrisposto) ed è scomparsa. Donny spiega che dopo la sentenza non la rivedrà più. Come dopo un ciclone, lui è sopravvissuto al cataclisma con gravi perdite. La più importante è la donna amata, quella giusta, allontanata da Martha e offesa nella sua identità trans senza però che Donny reagisse: Teri lo accuserà brutalmente di essersi nascosto temendo la derisione attorno al loro rapporto, ma pur non potendo più recuperare, la rottura lo spingerà ad ammettere il suo orientamento sessuale senza secondi fini. Donny lo ha capito sul palco in cui si è tolto la maschera della convenzione sociale: essere se stessi fa una paura tremenda, invece poi la sincerità alla gente piace e così funzioni molto più di quando provi ad essere come pensi che gli altri vogliano.

Ma cos’è l’elemento che rende questa serie diversa (e migliore) nel calderone di storie a base di pazzi, violenze e tossicità varie? Non abbiamo il tempo di apprendere come nasce la persecuzione di Martha perché Donny ce lo racconta nei primissimi secondi. Lei diventa immediatamente la carnefice e della sua esistenza sapremo molto poco, tranne l’accenno a passate modalità da stalker e un raccapricciante delitto mai oggetto di approfondimento. Nulla sappiamo del perché lei sia così e le cause della sua fissazione per Donny (che non è esattamente un figo), ma riusciamo a immaginare – come ha fatto Donny vedendola nel pub – la sua solitudine amorosa e le delusioni collezionate, la disperazione sottolineata dall’etichetta di donna di mezza età pur avendo 40 anni. Ma tutti la vedono come merce scaduta, anche i personaggi che dovrebbero essere positivi (Donny la vittima, la dolce Teri che non lesina sprezzo per l’anagrafe della rivale: ognuno usa come arma le debolezze altrui per non essere colpiti nelle proprie). L’obesità non c’entra o comunque non è evidenziata: la notiamo ovviamente, ma è un aspetto interamente rinviato ai nostri occhi, costringendoci a riconoscere la nostra tendenza a bullismo e grassofobia.
No, un piccolo sguardo nella vita di Martha ci è concesso ed è da brividi. La piccola renna stretta al cuore di una bambina come talismano prodigioso in un mondo familiare ostile, che va in frantumi tra urla, litigi e vessazioni.
La dannosità dell’agire di Martha è indiscutibile: Donny è ridotto a uno straccio nel corpo e nella mente, eppure è proprio lui a non permetterci mai di odiare o giudicare Martha (a proposito, non avevo ancora detto che Jessica Gunning è bravissima, vero?)
 
Del finale circolano diversi spoiler ma io non li alimenterò. Ormai libero dalla pressione, Donny continua a ripensare a quella storia e si allontana da tutto per dedicarsi a una precisa ricostruzione dei fatti scandagliando messaggi sgrammaticati e facendone un collage da parete come nelle indagini criminologiche. Vuole capire il mistero di Martha, e lo fa immergendosi nella materia viva delle emozioni. Non ci sono limiti a questa sua ricerca, compresa la masturbazione sulle immagini di quella donna, che aveva rappresentato un incubo e fisicamente non è per lui desiderabile. Sull’epilogo ci sono varie “spiegazioni”, frutto della diffusa tendenza Wikipedia a volere chiarimenti su film o romanzi. In realtà la visione si conclude con più domande che risposte, e quasi nessuna certezza. Diventiamo quello che ci hanno fatto? Dipendenti e manipolati sono corresponsabili dell’abuso?

Donny è ormai sicuro che la presenza di Martha gli faceva bene e un amore come il suo è l’unica cosa di cui ha davvero bisogno. Ricorda quello di cui ci si convince dopo l’esposizione al love bombing, ma nel caso di Martha non era stata una tattica: lei vedeva Donny nel modo in cui avrebbe voluto essere, curava la sua autostima, leniva le sue paure. Quella frase insidiosa – nessuno mai ti amerà come me, per nessuno sarai così importante – era bruciante e verissima. Ora mi fermo, perché non è neppure questo il finale della serie, che prova a dirci qualcosa di molto più profondo e riguarda l’umanità e lo sforzo di metterci nei panni dell’altro senza pietismo ma con la volontà di comprendere gli abissi di solitudine e dolore.

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