The Substance



Per una casualità ho visto questo film poche ore dopo essere stata all’inaugurazione di una piazza della mia città demolita e totalmente rifatta. Una piazza storica e da tempo abbandonata nel degrado, che è stata rasa al suolo e oggi, nuova e impeccabile, è magnificata dagli amministratori proprio per questo.
Perché la piazza originaria era brutta in quanto vecchia, mentre questa è un’opera di stile contemporaneo e internazionale. Su questa piazza nella mia città ci si è accapigliati: un comitato ha tentato di tutto, ricorsi giudiziari compresi, per fermare i lavori e salvare l’identità di quel luogo, ma non c’è stato nulla da fare. All’inaugurazione la gran parte della gente approvava il risultato finale, qualcuno cercava con lo sguardo la posizione delle panchine o gli alberi del passato, altri davano l’impressione di voler autoconvincersi. Però poi a prevalere era un pensiero condiviso: in quel modo comunque era vecchia, squallida, sporca, raduno di anziani rincoglioniti o giovani tossici. Meglio così, insomma. Una signora però mi ha detto: “Ma che significa, era vecchia? Potrebbe dirlo, allora, anche un marito della propria moglie invecchiata. E sostituirla con una giovane, nuova”.

Dopo la cerimonia ho visto “The Substance” di Coralie Fargeat, e ho pensato a questa istintiva associazione che facciamo tra vecchio e brutto, nuovo e bello. Restauriamo mobili, buttiamo via oggetti usurati, strofiniamo, levighiamo, riempiamo solchi, cancelliamo segni. Illuminiamo l’oscurità gotica di Notre Dame. Rinnoviamo.

Nel film la protagonista Elizabeth Sparkle (Demi Moore) è bellissima. Nomen omen: in inglese sparkling è qualcosa che luccica e lei ha denti bianchissimi, capelli scuri lucidi, occhi splendenti e un corpo atletico. Ha anche 50 anni, appena compiuti, e scopre che forse il suo luccichio si è appannato. Ex attrice e ora beniamina televisiva di programmi di fitness femminile, la sua emittente non la ritiene più adatta al ruolo. Lo sguaiato manager (Dennis Quaid) diagnostica la situazione con i vertici della rete ma Elizabeth origlia una conversazione telefonica e la vediamo cadere dalle nuvole. Fino a quel momento non ci aveva mai pensato, di essere vecchia e non andare bene – proprio lei, che ha pure una stella nella hall of fame hollywoodiana. Il manager, pietoso, non ha il coraggio di dirglielo ma poi gli scappa una mezza frase – terribile. “A cinquant’anni non c’è più…”. Dice così, troncando il finale, e non sappiamo esattamente cosa una cinquantenne con l’età perda come effetto inesorabile. Possiamo immaginarlo, ma il fatto che non lo dica amplifica le congetture umilianti, la vergogna, la paura. Le parole che non sentiamo sono più agghiaccianti di quelle pronunciate, delle derisioni, del disprezzo e il licenziamento con la brutale modalità di una liberazione di qualcosa che non serve.

Elizabeth, ammirata e amata, non ha più quello che la rendeva tale. Perde il lavoro ma soprattutto resta sola. In realtà anche prima non avevamo visto accanto a lei amici, un amore o una famiglia – prima era un robot, una macchina da guerra di perfezione fisica, un modello estetico a uso di sogni collettivi, venduti come possibili. Oggi però Elizabeth è isolata nel suo appartamento di lusso e si lascia andare all’alcol e la depressione, finché non decide di provare la miracolosa Sostanza. La promessa è trasformarsi della migliore versione di se stessa, e la domanda del misterioso imbonitore fantascientifico rimbalza anche a noi. 
Chi non lo ha mai desiderato? Continuare, in fondo, ad essere noi (come ricorda anche la Sostanza: “Tu sei una, sei la matrice e la figlia; ma sempre una”), però in un modo qualitativamente superiore. Giovani, belle, invincibili. Il risultato dell’attivazione del siero è Sue (Margaret Qualley), che immediatamente si riprende quello che Elizabeth aveva perduto. Il motivo è una durissima, tangibile verità. E’ il corpo bionico di Sue, dettagli di muscoli, carne, epidermide e genetica soprannaturali per quanto perfetti. Allo stesso modo la cinepresa zooma sulle rughe di Elizabeth, i capelli opachi, la grana avvizzita della pelle. Nessuno ama più Elizabeth per questo corpo vecchio, e tutti amano Sue per la sua bellezza e giovinezza abbagliante. 
Se fosse soltanto una questione di jet set televisivo, si potrebbe forse accettare. Ma quello che all’inizio del film potrebbe ricordare una riedizione del Viale del Tramonto, diventa chiaramente un’altra cosa, che non c’entra con il successo e i canoni inflessibili del mondo dello spettacolo. Una scena ce lo mostra come uno choc – o almeno, a me ha provocato questo. C’è un giovane amante di Sue, totalmente schiavo del desiderio per lei, che trovandosi di fronte Elizabeth si rivolge a questa signora con toni sgarbati, astiosi. La guarda ed è infastidito di quello che vede, come se la sua sola presenza fosse un affronto e potesse contaminarlo di qualcosa di brutto. Ad esempio la vecchiaia.

Velocemente dirò che le attrici sono bravissime entrambe, ma non è eccessivo affermare che Demi Moore abbia avuto coraggio a interpretare questo ruolo. Parliamo di una star che, ben oltre l’età del suo personaggio, ha un corpo allenato e ha utilizzato (bene) la chirurgia plastica, ottenendo in effetti di preservare la sua bellezza. Una donna che ha avuto una relazione sentimentale con un collega molto più giovane. Demi Moore ha lavorato sul suo aspetto – ovviamente investendo sulle sue disponibilità economiche – e non dimostra i suoi anni. Basterebbe questa considerazione per farci capire che la splendida attrice ha qualche difficoltà con il passare del tempo. Anche lei desidera essere – e il più a lungo possibile – la versione migliore di sé stessa. In “The Substance” Moore ha affrontato questo problema con una full immersion negli incubi di una donna terrorizzata dalla vecchiaia. Si è guardata allo specchio con il mascara colato sulle guance, le occhiaie, i lineamenti induriti. Ci ha fatto vedere tutto questo nel confronto con la migliore versione di sé (non solo Qualley ma la stessa Demi nei cartelloni pubblicitari ringiovaniti dall'intelligenza artificiale).

Questo film avrebbe potuto essere una tragedia greca, invece è un body horror, perché deve esserlo. Un tema simile era stato trattato con il registro dell’ironia surreale in “La morte ti fa bella”, ma stavolta l’obiettivo era mettere in scena un demone. La vecchiaia doveva essere visivamente mostruosa e raccapricciante, spaventare, essere letale. Doveva essere calata in un ambiente glamour (l'attico deluxe della protagonista) che finisce per assumere i contorni di una prigione avveniristica senza scampo, un luogo di torture e stermini. Lì dentro Elizabeth e Sue sono donne mostrificate e anche il corpo sinuoso della giovane non è sexy ma minaccioso nella sua imposizione allo sguardo. Le nudità femminili non blandiscono il male gaze e l'uomo si accorge di esserne non eccitato ma turbato: sono attributi sessuali ossessivi, arroganti, espressione di una specie tirannica e spietata. 
Ma a Elizabeth si presenta come unica salvezza proprio quella diabolica versione migliore garantita dalla Sostanza. L’ammonimento a ricordare che, però, “tu sei una” va a vuoto. Quando tutti ti amano non vuoi tornare indietro, neanche per la rigorosa settimana di ibernazione che deve essere rispettata per non creare danni irreversibili.

Una regola che non sta bene a Elizabeth-Sue, la donna doppia che vuole disperatamente essere amata perché lei si odia. Non ci mette molto a capire che quell’amore è moneta falsa: gli uomini la concupiscono, il pubblico vuole essere come lei, per i direttori dell’emittente è una gallina dalle uova d’oro. Elizabeth-Sue lo sa, e per questo ha una folle paura di perdere l’occasione di avere tutto questo (benché finto) per sempre: la sostanza le offre un vitalizio, lei non invecchierà né imbruttirà, mai. Sarebbe bastato seguire le istruzioni, ma Elizabeth si odia troppo e non riesce a convivere con la se stessa “peggiore” nemmeno una settimana.

La seconda parte del film è una mattanza di sangue, violenza, deformità aliene, corpi straziati con ritmo implacabile. I cinefili riconosceranno citazioni di grande cinema perturbante, da Shining a Psycho e Re-Animator. Roba per stomaci forti, ma non per l' elemento splatter. In realtà scopriamo che l’orrore è nella crudeltà con cui Elizabeth vuole autodistruggersi. Mi sono chiesta se “The Substance” sia comprensibile soltanto a chi sta invecchiando (le donne ovviamente), o anche alle giovani. Penso di sì. Una ragazza ancora lontana da quel “non c’è più” non sarà colpita in pieno dall’escalation tragico vissuto da Elizabeth, ma credo che vedere la bellezza degenerare in forme orrende sia un' esperienza forte e capace di annidarsi in tutte le donne.

Un giorno saremo tutte Elizabeth, le belle un po’ di più. Un proverbio catalano dice che possiamo avere il mondo ai nostri piedi e sentirci dire che tutti ci amano ma non ci crederemo mai se non siamo noi ad amarci.
Possiamo scegliere se trovare il meglio in quel “tu sei una” o continuare a scappare sperando di trasformarci in qualcun’altra, degna di essere amata. Qualunque tipo di amore va bene, pur di non restare sole con noi stesse. E’ questo l’orrore della vecchiaia.

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