Bobby Watson Quartet

Questa mia recensione al concerto di Bobby Watson Quartet per Reggio in Jazz è stata pubblicata oggi sul Quotidiano del Sud











REGGIO C. – Sold out certamente annunciato, visto che sul palco c’era un maestro assoluto del sax come Bobby Watson, ma è sempre una grande soddisfazione concludere così una rassegna portata avanti contro tutto e tutti. Reggio in Jazz prende commiato dal suo pubblico al cineteatro Metropolitano con una sala piena e il rammarico per quanti sono rimasti fuori, impossibilitati a partecipare al concerto per motivi di sicurezza: la capienza del teatro non era quella adatta a un big come Mr. Watson, ma la scelta della location non è stata degli organizzatori, come ha spiegato in apertura di serata Giuseppe Tuffo, presidente dell’associazione Naima, che ha ideato il festival undici anni fa, ringraziando comunque per l’ospitalità il Metropolitano, «un piccolo gioiello» ma purtroppo limitato negli spazi all’attrazione di un personaggio come quello che ha animato l’ultimo appuntamento in cartellone. 
Classe 1953, artisticamente cresciuto con Art Blakey, Bobby Watson ha da sempre un rapporto privilegiato con l’Italia, soprattutto per la produzione discografica (con Red Records, Blue Note e Sony Columbia) e le collaborazioni con giovani e talentuosi colleghi. La dimensione live nel nostro paese si è però ultimamente diradata, e averlo a Reggio per Naima è un sogno che s’avvera, tanto da lasciarsi sfuggire una promessa che adesso gli appassionati di jazz vorranno vedere onorata, ovvero di riportarlo in città ad appannaggio di chi è stato costretto a perdersi l’evento.
Sul palco del Metropolitano Watson è un gigante sia per presenza fisica che energia al suo sassofono – nel backstage scopriremo anche la sua immensa umanità e l’indole umile che appartiene soltanto ai grandi, quella che gli fa confidare come sin da ragazzo «la musica per me è stata un modo per esprimere me stesso e la penso così per chiunque, in piena libertà», che poi è un altro modo bonario e da vero gentleman di “giustificare”, a precisa domanda, certi trend musicali contemporanei di successo che hanno seguito più popolare del jazz. Battagliero anti-trumpista («credo che quello che sta succedendo oggi con lui debba farci paura»), innamorato del nostro Sud, a Reggio Watson ha adattato alla formazione ridotta del suo quartetto una scaletta che nella sua genesi era stata pensata per l’esecuzione con gruppi orchestrali importanti. Con lui c’erano il pianista Domenico Sanna, il contrabbassista Vincenzo Florio e Marco Valeri alla batteria. L’affiatamento è consolidato e i musicisti creano la cornice perfetta per il protagonismo del sassofono. Watson si produce in equilibrismi di tecnica con una inesauribile riserva di fiato, regalando un’esibizione di altissimo livello che non delude la platea, invitata a partecipare con battimani e schiocchi di dita a sugellare la semplice (e mantenutissima) promessa di «fare per voi della buona musica». Il maestro sente visceralmente il ritmo e non resta in disparte nemmeno durante gli inserti singoli degli altri strumenti, sottolineati da balletti estemporanei che conquistano anche la simpatia degli spettatori. Nel programma brani che hanno segnato la carriera del mitico sassofonista, tra cui “Moanin’ “ di Art Blakey & Jazz Messengers, a “Appointment in Milan” (città cara all’artista perché da lì è iniziato il rapporto con la discografia italiana), “If Bird could see me now”, “Ballando/Dancing”, “I’m always missing you” e “Love Remains” (dall’omonimo album inciso insieme alla moglie Pamela e dedicato a una grande coppia, quella formata da Nelson e Winnie Mandela). Molto forte nei brani è l’orgoglio delle origini afroamericane: com’è noto a chi ne segue la carriera, una decisa impronta “black” nelle contaminazioni blues rende la sua composizione abbastanza classica, pur nel solco di una geniale improvvisazione. Al pubblico reggino sono stati proposti otto pezzi lunghissimi, di cui due generosi bis, poi applausi fragorosi per salutare Mr. Watson, fiduciosi nell’auspicio che si tratti soltanto di un arrivederci.

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