Fellini degli spiriti

Questo articolo sul documentario "Fellini degli Spiriti" di Anselma Dell'Olio è stato pubblicato oggi sul Quotidiano del Sud



«Se avessi chiesto a lui perché era attratto dal mistero, Federico ti avrebbe risposto con un’altra domanda: "Tu come ti poni davanti al mistero?" Una domanda che spiazzava sempre atei, nichilisti, positivisti, razionalisti superbi. Lui si poneva con disponibilità e apertura verso tutto, in particolare verso quello che non comprendeva; riteneva poco interessanti le persone che non si pongono mai dubbi». Anselma Dell’Olio racconta il rapporto tra Federico Fellini e l’esoterismo, i sogni e l’inspiegabile, quel segmento di mai catturata conoscenza che per lui era ricerca e perenne anelito, nella vita e nell’arte. 

Questo tema così sontuoso e prepotente nell’opera felliniana (ma incredibilmente poco battuto dalla critica) è al centro del documentario diretto da Dell’Olio, “Fellini degli spiriti”, dove si indaga il mondo visionario del maestro attraverso materiale inedito d’archivio, interviste e contributi non di ospiti ma di “testimoni” - precisa la regista, che volutamente nel film non appare neanche in voce, lasciando spazio esclusivo a chi parla in prima persona di Fellini come amico, artista o collega di set (da Roberto Benigni a Gigi Proietti, William Friedkin, Terry Gilliam, Damien Chazelle). Il documentario, già selezionato a Cannes, si presenta nel centenario della nascita di Federico Fellini, una celebrazione segnata dall’annata incerta e difficile del Covid, che ha penalizzato l’uscita del film nelle sale a fine agosto come fulmineo evento speciale a programmazione limitata, distribuito da Nexo Digital e già venduto in una ventina di stati esteri. Adesso l’orizzonte è quello dei festival: una preziosa visione speciale è stata ospitata a Castrovillari nel corso dell’i-Film Festival, ad ottobre il film sarà a Lione, poi entro fine anno dovremmo poterlo vedere in tv grazie alla coproduzione di Rai Cinema. «Vorrei che il mio film fosse come un nuovo paio di occhiali per vedere o rivedere l’opera di Fellini. Il suo rapporto con il mistero, o con la psicanalisi, di cui si parla nel documentario, non era stato mai esplorato perché pochissimi toccavano con lui questo tema, tra i giornalisti uno è stato Sergio Zavoli (la psicanalisi e la spiritualità, mai l'esoterismo). Non si parlava di questo aspetto perché con un regista celebre carico di premi come lui, forse perché poteva sembrare irrispettoso. In Italia la critica di allora, prevalentemente marxista, non l'ha mai amato; dopo i primi due Oscar, a denti stretti gli intellettuali hanno dovuto trattarlo con rispetto ma quasi mai con ammirazione, salvo pochissimi». 

Anselma Dell’Olio ha lavorato a lungo con Fellini e lo conosceva bene, potremmo dire citando un altro grande regista italiano, Antonio Pietrangeli. Ma uno come Fellini lo si può davvero definire un regista, limitarlo nel perimetro di una professione? «Esistono molti bravissimi registi ma no, lui era altro, era un creatore, un visionario, lui vedeva quello che di solito la gente non nota, e lo restituiva nei film in modo da farlo vedere a tutti. Aveva una perenne attrazione verso quella che definiva, con un termine coniato da lui, la “sconosciutezza”. Non aveva padri e non ha figli né può averne, perché è stato un artista unico. Ha inventato un modo esclusivamente suo di fare film, originale, inimitabile; infatti si ispirava a tutto tranne che al cinema». Ma non era arroganza, solo l’unica evoluzione possibile di una personalità originalissima: «Di Rossellini diceva che era il suo “pizzardone” - il vigile urbano, in romanesco – perché gli aveva indicato la strada, ma Fellini non fu mai un neorealista (diceva che l'unico vero neo-realista era Rossellini) a lui non interessavano la superficie, l'ovvio, ma le persone. Non é facile descrivere lo splendore affascinante del suo eloquio, perché aveva un linguaggio immaginifico, icastico, originale già soltanto nel modo di mettere insieme le parole. Ma con una semplice conversazione riusciva a raggiungere l’anima dell’interlocutore, ed era quello che cercava. Soprattutto da giovane accadeva che frequentasse una persona che reputava interessante solo per comprenderla meglio, finché non si sentiva attratto da un’altra».
Nel film si vedono immagini di tante notissime pellicole, ma Anselma Dell’Olio non vuole graduarle: «Non saprei trovare un film più bello dell’altro; non ce n'é nemmeno uno trascurabile. Forse potremmo utilizzare il criterio dei film più noti e allora direi La Dolce Vita (più moderno oggi di allora), ma poi penso allo Sceicco Bianco, che è anche il film preferito di Woody Allen, o alle Notti di Cabiria, adorato da Damien Chazelle (Oscar per La La Land) e naturalmente La Strada o il bellissimo, sottovalutato e trascurato Il bidone. Non c’è davvero niente da buttare e è persino difficile stillare una classifica tra i suoi film. In alcuni al massimo si può dire che avevano pezzi meno ispirati di altri. Nel mio ritratto ripropongo con stupore infinito alcuni film molto maltrattati quando sono usciti; per esempio Giulietta degli spiriti e l'ultimo, La voce della luna, il suo testamento, che la maggior parte di noi non abbiamo proprio capito all'epoca». 

La personale attrazione verso l’inconscio e i simboli onirici si accentuò dopo l’incontro fatale con il sensitivo piemontese Gustavo Adolfo Rol, conosciuto da Fellini tramite Dino Buzzati (era uno dei “fenomeni” narrati nella celebre inchiesta dello scrittore sugli x files italiani). Era una specie di illusionista, le cui doti paranormali esercitate su menti e corpi avevano del miracoloso, tanto da essere consultato sottobanco da medici e scienziati.

Frequentazione fondamentale per Fellini, che apprezzava poco l’analiticità razionale di Freud sentendosi più vicino ai dubbi di Jungh, fu pero' quella con il blasonato psicanalista Ernest Bernhard (personaggio carismatico: di famiglia ebrea fu deportato a Ferramonti di Tarsia, il padre fu giustiziato nel lager di Auschwitz, la madre si suicidò credendo che anche il figlio fosse morto).

Fu Bernhard, da cui era in analisi, a suggerirgli di tenere a bada i tumulti del suo debordante mondo interiore disegnando. Da quegli schizzi terapeutici sarebbero nate le idee di molti film, oltre che il “Libro dei sogni”, che nel documentario Vincenzo Mollica ribattezza il “Codice da Vinci” della poetica felliniana. «Osservava e disegnava tutto. Se qualcuno arrivava in ritardo non gli dava fastidio perché intanto occupava il tempo a scrutare un dettaglio, una piccolezza, e poi lo disegnava, così come disegnava i suoi sogni. Lui però era assolutamente puntuale e meticoloso, tanto che sul set lo avevano soprannominato “genio e regolatezza”. Era una forma di ordine necessaria, gli serviva per non essere sopraffatto dalla sua visionarietà». Le zone oscure della psiche, ma anche la fede cattolica e le superstizioni della cartomanzia. L’importante era non smettere di cercare, rincorrere l’utopia della comprensione dell’umanità. Però senza esserne mai sazio, perché, raggiunto il senso delle cose, probabilmente avrebbe perso la voglia e il divertimento di attraversare la vita. Per questo Fellini non aveva paura della morte, lo atterrivano piuttosto il decadimento della malattia e l’invalidità. A Zavoli, in ospedale, disse di essere curioso dell’aldilà, di sapere finalmente «come va a finire».
Se Fellini fosse ancora con noi, come affronterebbe la pandemia? Sarebbe negazionista? «Lo escludo. La affronterebbe con equilibrio. Fellini era un uomo molto acuto , con una mente prensile, e molto assennato. Si sarebbe adeguato ai consigli di chi ne sapeva più di lui. Era anticonformista come artista, non come cittadino. Credeva nelle istituzioni. Basta guardare "Prova d'orchestra", girato in pieno terrorismo rosso e nero. Rivendicava sempre il suo essere della costellazione del Capricorno, guardiano delle strutture della civiltà».

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