Le ripetizioni




Questa mia recensione del romanzo "Le ripetizioni" di Giulio Mozzi, edito da Marsilio, è stata pubblicata sul Quotidiano del Sud - L'Altra voce dell'Italia

Scrutare nella mente umana non è un’attività gradevole. Di visioni amene si troverà ben poco, più facile invece che si annidi un cupo catalogo di desideri malsani e spietate crudeltà. Alla letteratura è concessa la facoltà di rappresentare tutto questo in quella sospensione del giudizio e amoralità propria della narrazione. Ma non significa che l’effetto sia indolore. Lo si comprende subito leggendo “Le ripetizioni” di Giulio Mozzi (Marsilio), dove il resoconto dei pensieri del protagonista ha una vena brutale e si propaga tra realtà e finzione senza chiarire in quale territorio si stia svolgendo la storia. Mario è un uomo comune, di professione scrittore, molto pignolo e cervellotico. Pare vivere in uno stato di mite insensibilità ed ha organizzato la sua esistenza fabbricando un alveo sentimentale sicuro nella relazione con Viola, la donna che sposerà perché con lei sta bene. Ma evidentemente non la ama, infatti non riesce a dimenticare la magnetica e instabile Bianca, che potrebbe avergli dato una figlia, Agnese, a cui Mario provvede per semplice cura affettiva, non sapendo se ne sia davvero il padre. Anche Viola evidentemente sta bene con Mario ma non lo ama, infatti gli nasconde una parallela routine di sadomasochismo sessuale con altri uomini. Lo stesso Mario, oltre all’ambiguo legame con Bianca, è sottomesso a Santiago, giovane bellissimo e dannato che aleggia nel romanzo come personificazione del Male, esercitando un fascino morboso sui suoi amanti fino a ridurli a un aberrante stato di schiavitù e coinvolgerli in pratiche efferate.

Riassunta così, sembra un’ordinaria vicenda di perversioni erotiche, invece “Le ripetizioni”, vincitore del Premio Mondello, è uno straniante incastro di bolle narrative che si compongono in una struttura danzante, dove i capitoli fanno salti nel tempo e giravolte, confondendo la percezione dei fatti. Il titolo riferisce l’impossibilità dei personaggi di sottrarsi alla dipendenza da tormenti e tossiche reiterazioni – un tema che si rispecchia anche in ritornelli di scrittura dove le parole descrivono fatti e pensieri in serie, riprodotti con una scansione identica, riportati tali e quali dentro piccole incudini di atmosfera onirica o comunque mentale, a interrompere il fluire degli eventi. Il vivissimo ricordo di un profumo o un colore, una siepe di bosso in una vacanza infantile di Mario con i nonni, si rivela mera fantasia – il bosso in quel giardino non c’è mai stato. La forma di questo romanzo è espressione di un destino a cui nessuno dei personaggi può sfuggire - o non vuole, preferendo alla liberazione la perenne possibilità di fuga in mondi inesistenti, più duri della vita reale ma capaci di sottrarli al faticoso agire nella realtà. Non possono smettere anche se volessero. Non riescono a dire basta anche quando potrebbero.


 

Mario scopre per caso che la fidanzata Viola gli nasconde qualcosa ma scappa impaurito dalla prospettiva di conoscere la verità – lo dice chiaramente, quel che lei fa fuori da lui non vuole saperlo, intende continuare a vedere la nota apparenza che lo conforta e fonda la scelta di rendere duraturo il loro legame, anche se non è vera. Mario trae appagamento abitudinario dal sesso con Viola, ma l’amore fisico con Bianca è un imprevisto emozionale, mentre la devozione a Santiago è angoscia, orrore e insieme attrazione insopprimibile.

La sfera di reciproche ossessioni che racchiude Mario e Santiago è scenario di sevizie che suscitano inevitabile turbamento nel lettore. Chi è andato fino in fondo ad “American Psycho” di Bret Easton Ellis, chi non si è fatto sopraffare dal terribile nichilismo delle “Particelle elementari” di Houellebecq, avrà le spalle più larghe, ma per affrontare certe pagine di “Le ripetizioni” occorre fare una scelta di campo, stringere un patto con il romanzo e se stessi. Si può decidere che niente di quello che accade sia vero nella storia e costituisca una fantasticheria di Mario - perversioni innocue e catartiche, un po’ come quando si sogna di spaccare la testa del capo a martellate o far prostituire la propria moglie, cose che si pensano con furia sfrenata proprio per non farle nella realtà. Oppure si può guardare a sangue freddo nell’animo dei personaggi e allora quella violenza, decriptata nell’allucinante malvagità di Santiago, è asettica: le vittime sono oggetti deumanizzati e l’atto violento è puro esercizio di distaccato piacere. Diceva Ismene ad Antigone: “Il cuore hai caldo per cose che agghiacciano”.

E’ ancora quel “Male naturale” che Giulio Mozzi aveva narrato nell’omonimo libro che suscitò scandalo per un racconto, “Amore”, incentrato sul sadico love affair tra un uomo e un bambino. Definire amore una relazione pedofila all’epoca non era piaciuto a un deputato leghista, autore di una censoria interrogazione parlamentare (avrà letto il racconto di Ian McEwan “Farfalle”, dove un orco chiede a una ragazzina di toccarle il pene e poi l’annega, riprendendo dopo il delitto la sua serena passeggiata?). Adesso che lo scrittore padovano è ritornato lì, il male gli è valso la scomunica dallo Strega Giovani (il romanzo era tra i dodici finalisti di quest’anno, ma è stato ritenuto non adatto al concorso degli studenti, a cui partecipano tutti i libri della selezione). Consapevole del rischio, Mozzi nomina l’innominabile, spalancando oscenamente una porta segreta perché si veda cosa c’è dentro: in letteratura conta il coraggio di parlare di tutto, spiega in epilogo nella “Notizia” conclusiva. Anche dell’inquietante anima che Mario scorge allo specchio dietro la sua immagine riflessa, mentre sta lavandosi i denti.

In “Le ripetizioni” qualcuno vedrà dell’autofiction (Mozzi non gradisce, per lui è un non-genere strumentale, in narrativa un’invenzione sterile). Accadrà al lettore gossiparo e bisognoso di appigli interpretativi, che troverà similitudini tra personaggio e autore - dal mestiere di scrittore alla residenza padovana. E poi ci sono i follower di lunga data, coloro che sullo storico “Vibrisse, bollettino” hanno letto nel tempo ampie anticipazioni di questo romanzo, che è il primo di Giulio Mozzi dopo un’esclusiva produzione di racconti. Riconosceranno Bianca e Agnese, e il mitico dipinto di Claudio Laudani che irrompe qui come opera perfetta del Gas, il Grande Artista Sconosciuto, comprimario nelle prolisse memorie di Mario. Ma la violenza, la contaminazione del male naturale, li disorienterà: da dove sono venuti i cagnolini sgozzati, il sadismo, l’umiliazione e l’asservimento? Mozzi sta scrivendo questo libro – il suo esordio di sessantunenne nel romanzo – da ventitré anni, ma la spinta a farlo uscire fuori definitivo si è compiuta tra la primavera e l’estate del 2020, durante la pandemia. Per consegnare “un testamento, un addio, una profezia” in un’epoca in cui letteratura ed editoria sembravano poter diventare provvisorie o completamente altro, come la nostra vita prima del virus.

Il dipinto di Laudani-Gas, “Discorso attorno a un sentimento nascente” (che sarebbe stato il titolo di questo libro nelle intenzioni di Mozzi di vent’anni fa) commuove l’irrisolto Mario, che piange per quel miracoloso ritratto che somiglia a un feto soprannaturale. Lui è uno che trova pace nelle storie. “Che cosa importa se la nostra vita, la vita di chiunque, è vera o inventata? Le storie raccontate, i sogni, i ricordi non sono né più ne meno reali di queste mani che sollevo davanti alla faccia, di te che mi ascolti, della storia che ti ho appena raccontata”. E’ la nuda letteratura, che non deve insegnare nè dissertare su bene e male. Una, mille storie. Lo aveva detto, più di fa un secolo fa, Barrie con Peter Pan, la raccontafiabe Wendy e quelle tremende avventure che terrorizzano, tolgono il fiato, fanno sognare. I bambini perduti non si chiedono mai da dove vengono e se siano vere.

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