A "Non è la Rai" dove il cielo è sempre blu


Avevo la stessa età delle ragazze di “Non è la Rai” ma con loro non c’entravo niente. Alessia, Sara, Romina e le altre sgambettavano cantando in playback su tremende basi di brani popolari, trasformandoli in miagolanti cover. Io guardavo film asiatici e leggevo romanzi meravigliosi che nessuno conosceva e apparivano raramente nelle classifiche dei best seller. 
Guardavo dall’alto in basso le mie lolitesche coetanee televisive per sfotterne le pose da divette, i cinguettii da svampite, i rossori sui visi morbidi, gli sguardi da pesce lesso che pretendevano di bucare il video. Ambra la reputavo una cretina totale, ridanciana e rozza di lineamenti, una teenager borgatara qualsiasi. 

Però avevo comprato tanti dei completini che le tipe indossavano in tv e di cui era segnalato lo sponsor in modo che noi, dall’altra parte dello schermo, potessimo trovarli nei negozi. Mi piaceva quel guardaroba sbarazzino di gonnelline svolazzanti, short di maglina, top a quadrettini – ne ricordo uno che adoravo, di top: era rosa shocking annodato sul seno e con le maniche che terminavano in rouches ingombranti all’altezza dei gomiti. 
Non l’avrei mai ammesso, ma quei vestitini erano il lapsus di un’inconscia legittimazione. Forse un po’ avrei voluto essere anch’io una ragazza che non deve studiare e passa le giornate in uno studio televisivo simile a un villaggio vacanze a ballare, scherzare e giocare alle star, tra microfoni, trucco e parrucco. La sigla della trasmissione lo dichiarava nel garrulo ritornello: ma com’è bello qui, il cielo è sempre blu, non piove quasi mai e il mare, come in America, fa splash. Il loro mondo sembrava un paese dei balocchi impermeabile a sofferenze e delusioni. Erano buone amiche, avevano fidanzatini innamorati e perfetti, ricevevano lettere, cioccolatini e peluche dai giovani fan che aspettavano davanti ai cancelli del Palatino con striscioni appassionati, nella speranza di vederle da vicino.
 
Sui titoli di coda ogni inconfessabile velleità di mimare come loro Anna Oxa o Patty Pravo su registrazioni malriuscite si dissolveva nella vita vera. Quella comunità di donne bambine era in realtà un’arena rabbiosa e senza esclusione di carognate, dominata da invidie e dispetti, che si contendeva il protagonismo sul palcoscenico. Non c’era nulla di idilliaco. Mi limitavo dunque alla comunanza degli abitini, che portavo, come loro, con le scarpe da tennis, ultimo avamposto da ragazzina prima di innamorarmi follemente del tacco dodici.
 
L’attacco contro la sessualizzazione morbosa di quelle adolescenti era stato durissimo nei quattro anni di messa in onda del programma, ma io allora non avevo mai riflettuto seriamente sul punto. Come tutti notavo le inquadrature ginecologiche sui balletti, l’ambiguità di certe riprese ossessivamente dedicate ad abbracci saffici e dettagli anatomici immaturi ma indubbiamente capaci di suscitare non solo i sospiri romantici degli spettatori quindicenni. Boncompagni la sapeva lunga, spiegando che per far parte del cast bisognava essere magre, magrissime. Taglia 40 e poco seno. Le strafighe come Laura Freddi e Miriana Trevisan erano occultate mortificandone, per quanto possibile, la fisicità mozzafiato tra sangallo, pois e sneakers ammazzasesso. Che poi erano sempre due bonazze, e l’effetto sortito era persino più hot per i guardoni in età che le spiavano dai divani di casa.
 
Capii che non era un fenomeno innocuo quando sparirono i conduttori. Gente come Enrica Bonaccorti e Paolo Bonolis, defenestrati per affidare l’intera trasmissione a un gineceo digiuno di televisione. Il loro posto venne usurpato da qualche ragazza promossa alla gestione dei giochi telefonici. Impacciate e noiose, presto furono sostituite dalla sola Ambra, showgirl assoluta che teneva la scena tra risate, battute radiocomandate e performance canore scritte apposta per lei che, bando agli intellettualismi, oggi sono cult. Canzonette imbarazzanti, ma lì c’era la quintessenza del personaggio che Ambra incarnava, un concentrato di pagine patinate di Cioè, dilemmi di cuore, chewing-gum e patatine fritte. Se non è amore me ne andrò all’inferno, prometti, prometto.
 
Poi, nonostante Ambra, in modo graduale ma inesorabile “Non è la Rai” perse ogni traccia di scaletta per diventare un loop di balletti, esibizioni ripetitive, botte di un quarto d’ora di campi lunghi e panoramiche dell’onda di fanciulle ancheggianti. Ormai era un immenso carnaio puberale mediatico. 
Qualcosa di mai visto, neanche ai tempi dei culi di Carmen Russo e Tinì Cansino al Drive In. Perché quelle erano procaci donne fatte mentre qui i voyeur sbavavano sulle figlie e nipotine di qualcun altro. Mi turbò la scoperta che tra le ragazze una biondina di nome Claudia Gerini era la fidanzata di Gianni Boncompagni. Ancora oggi mi faccio confortare dal dubbio che fosse una fake news gossippara. Gerini non era ancora la Jessica dei viaggi di nozze di Verdone (un altro dei suoi attempati partner). A “Non è la Rai” aveva le guance rosee e occhialetti metallici – in una puntata un ragazzo al telefono le disse in romanesco “e levate ste lenti” e lei, mite e obbediente, lo fece strizzando le pupille cerulee da tenera miope. Troppo disgustoso immaginarla insieme a quel vecchio.
 
Anni dopo, quando il programma chiuse i battenti, ebbi altre rivelazioni. Di una ragazza tra le più presenti davanti alla telecamera giravano foto sexy volgarissime, da calendario per camionisti. Un’altra era finita a fare porno. Yvonne Sciò si riciclò come ospite prezzemolina a party e gite su yacht di milionari cinquantenni dell’ambiente vip. 
“Non è la Rai” si consumò con la sua epoca, fatalmente. Era un prodotto costruito (tanto per cambiare) sulle donne come esca di desiderio, in quel caso più eccitante per le sfumature di proibito legate all'anagrafe delle giovanissime concupite. Quel contenitore di caviglie sottili e curve acerbe sussurrava alle minorenni italiane, quelle che oggi sono le nostre figlie: abituatevi sin da ora ad essere oggetti di divertimento maschile, ad esistere come diletto per gli occhi e i genitali degli uomini. Siate docili e graziose, a noi da voi può bastare solo questo, promettiamo di dominarci e non chiedere altro. Ma anche alla distanza di sicurezza del video (ci ricorda qualcosa?), se siete carine il vostro ruolo - il vostro destino - sarà sempre questo.

Piccole donne, ma piccole vere. Una cosa peculiare degli anni Novanta, che oggi non avrebbe la stessa carica trasgressiva. Quelle ragazze acqua e sapone erano effettivamente la figlia del vicino di casa, la studentessa liceale, la sedicenne che compra il giornale all’edicola con i soldi della mamma: guardandole ballare con le coscette al vento, insospettabili mariti e padri di famiglia potevano fantasticare scene alla American Beauty e sfogare segretamente quella viscida attrazione verso corpi che di esplicitamente sessuale non avevano nulla. Le millennial di oggi, cloni delle influencer rifatte e photoshoppate, a diciotto anni ne dimostrano trentacinque. Le varie Francesca, Cristina e Angela del sornione Boncompagni erano invece bocconcini di purezza da guastare con la potenza degli istinti più bassi, una perversione asettica, emendata dall’orario in fascia protetta. In fondo quegli uomini non facevano nulla di torbido, guardavano un varietà di musica e barzellette. Come affermava Gianni, taglia 40 e seno piccolo non sono il peccato.

Lo scandalo servito da una ex fanciulla in fiore nella ricorrenza dei trent’anni della trasmissione è stato ritrattato con passione dalle più famose. Cristina Quaranta fa periodiche rimpatriate con le altre esaltando eterna sorellanza - vedete come ci vogliamo bene? Ambra Angiolini tace come gli arricchiti che tolgono il saluto gli amici sfigati del passato fingendo di non vederli.
Ilaria Galassi e Pamela Petrarolo hanno detto di non aver mai subito molestie. Giurano che alle cene di Boncompagni nessuno toccava le ragazze. Però il padre di Ilaria non era molto contento che la figlia quindicenne fosse tra le belle statuine durante feste dove gli invitati non erano ragazzi ma uomini della sua età. Non sarà stato il Bunga Bunga ma, ha detto la grande accusatrice Laura Colucci, se non andavi ti creavano problemi. Se non andavi ti toglievano spazio nel programma. Le ragazze erano invitate per essere carine e farsi guardare da tutte le angolature. Per fare, anche in privato, quello che facevano in televisione. 

Ma che male c’era? Per le ex ragazze che difendono la memoria del regista talent scout la stagione di “Non è la Rai” rimane il periodo più bello e spensierato della loro vita. 
Probabilmente è stato davvero così. Il malessere delle cose che viviamo di solito non si comprende subito ma risale a galla dopo, quando il gioco finisce. E per la maggior di loro, con l’ultima puntata del programma sono finiti anche i sogni.

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