Perché la Spigolatrice non può essere soltanto un bel corpo di donna

 


Per favore, non scomodiamo il David di Michelangelo gridando alla censura. Il caso della statua della Spigolatrice di Sapri non è un attacco alla libertà di espressione creativa: nessun papa e nessuna femminista ordineranno di dipingere pudici mutandoni su quelle natiche svelate dal drappeggio dell’abito. Lo scultore Emanuele Stifano ha immaginato così – liberamente appunto – il celebre personaggio della poesia di Luigi Mercantini, la ragazza che interrompeva il duro lavoro nei campi rapita dall’arrivo via mare dei patrioti guidati da Carlo Pisacane. 
L’artista ha spiegato di non voler rappresentare una popolana ma la fiera emozione di un momento, quello in cui la donna, fino ad allora avvezza solo a sgobbare, si elevava a più nobili sentimenti di ribellione e indipendenza, osservando estatica i trecento “giovani e forti” pronti a morire per liberare l’Italia dai Borboni.

Una scelta, dunque. Stifano (e l’amministrazione di Sapri, che ha approvato il bozzetto dell’opera) in sostanza dicono: Va bene, ricordiamo una donna del popolo ma rendiamola venere botticelliana, accarezzata dalla brezza marina epperò nemmeno di pingue sensualità come la citata dea che sorgeva dalle acque, ma tipica femmina instagrammabile con quei glutei perfetti, tonici e lubricamente esposti (indossava un perizoma o era sans culotte mentre s’inginocchiava tra le puntute spighe?) 
Tutti dovremmo essere d’accordo sul fatto che l’arte non sia condizionabile. L’arte è intuito, interpretazione della realtà, visione originale del mondo. Se lo scultore si sente ispirato da una percezione non verista ma metaforica, allegorica, concettuale, dev’essere libero di farlo. Con la stessa onestà intellettuale, però, l’autore della Spigolatrice di bronzo - e quanti ne difendono le intenzioni - dovrebbe spiegare perché la metafora e l’ideale ancora una volta passino da una raffigurazione voyeuristica del corpo femminile che nulla c’entra con i tanti, meravigliosi nudi della nostra storia dell’arte. Perché lì c’era uno studio della bellezza anatomica e qui c’è l’omaggio a un personaggio forse immaginario che resta nella nostra memoria per una poesia che da settant’anni studiamo sui banchi della scuola elementare (già per questo – sarò infantile – ma mi fa tristezza ritrovarla oggi come una qualsiasi Kardashian chiappe al vento). 
Non la si vuol vedere sfatta di fatica, scarmigliata e con la veste stazzonata – come effettivamente fu – ma ne vogliamo fare un simbolo di orgoglio risorgimentale, circonfuso di grazia? Rimane discutibile la fisicità contemporanea del tutto sbagliata del soggetto, catapultato dall'Ottocento a un'epoca social dove i corrispettivi di idealismo richiesti per quel personaggio sono pochissimi, anzi nulli. Non dimentichiamo poi che si tratta di un'opera su commissione, pagata da un ente pubblico e pensata con obiettivi di memoria storica. Se ti chiedo di celebrare Madre Teresa non è che tu, artista, me la fai in tanga o con un cerchietto di paillettes sopra il velo. In questi casi l'anticonformismo è semplicemente fuori contesto e inopportuno. 
E poi, anche concesso: per ottenere il risultato voluto, era necessario arrotondare iperbolicamente quei glutei come nello spot di un corso di squat? Era necessaria quella mano maliziosa a reggere una camicetta che altrimenti scenderebbe giù a mostrare i seni?
Secondo me no, sinceramente. E credo anche che una simile immagine, anziché suscitare italica affezione alla patria, si presti molto a sgradevoli goliardate sessuali. Ne ho avuto prova leggendo sui social i commenti sotto i post che stanno rendendo virale la polemica. Tra favorevoli e detrattori è tutto un ridanciano rimpallo di “cugghilivi” e “sanculotta”, meme con Berlusconi, "tirate fuori la modella" – ovviamente volgarissime perle di comicità in prevalenza maschili, ma non solo purtroppo. Qualcuno si è giustificato facendomi passare per bodyshamer. Cioè io starei sostenendo che una spigolatrice deve essere per forza racchia e trascurata – eh sì, non uscire le sise o il culo de fora vuol dire essere cesse, non si può essere belle ma magari vestite e pure da combattimento, visto che in quel momento si sta svolgendo un lavoro un filino più pesante delle sfilate in passerella e la signorina non era Silvana Mangano sul set di “Riso amaro”. 
Aggiungendo, i fini commentatori, che le contadine dell’Ottocento non erano brutte, anzi, erano belle buzzicone. Parole che siglano splendidamente il dibattito.

Quindi no, la censura stavolta non c’entra. E se davvero parlassimo di espressione creativa dovremmo pure concedere uguale carta bianca ai pubblicitari che da decenni sono bersagliati da accuse di sessismo per i loro spot carichi di ammiccamenti e mercificazione del corpo femminile. Una statua creata per celebrare il ricordo di una contadina patriottica può avere il culo di J.Lo, invece una mozzarella non può essere pubblicizzata dalla gigantografia di procaci tette. Qui è arte, lì una semplice merce? No, l’arte è pure un mestiere, che genera prodotti e profitti, spesso a tanti zeri.
 
Altre riflessioni che ho letto sull’argomento in queste ore riguardano non la libertà dello scultore ma l’allarme sulla demonizzazione del corpo delle donne. Un po’ come accadde nella vicenda delle minigonne bandite in un liceo romano, se ai prof cade l’occhio, che la malizia resti a loro. Gambe, seni e sederi non hanno nulla di peccaminoso, a trasformarle in morbosità è lo sguardo esterno del maschio (esacerbato nella foto virale della statua assediata dalle autorità politiche, tutti uomini e ovviamente in abiti istituzionali, presenti all'inaugurazione e disposti a cerchio attorno a lei). Insomma, dovremmo fregarcene: certo che la Spigolatrice ha il culo, il culo esiste. Non deve coprirlo solo perché c’è il rischio che qualcuno, guardandolo, sbavi. 
Ma anche questo credo sia un terreno minato. Da quando esiste il femminismo, le donne si scontrano in un'arena a colpi di primordiali marchi di onte contrapposte. Bigotte o complici, c'è una colpa per ognuna. Se non vuoi vedere tette ad ogni angolo di media sei puritana, se vuoi vederle o anche tu le esibisci sei un'inconsapevole ancella. 
Ma un conto è la vita privata: mi vesto come voglio, se ti ecciti per il mio decolleté è un problema tuo. Altro conto è l’ossessiva riproposizione delle forme femminili su giornali, tv e luoghi pubblici come esca commerciale, leva di visibilità a buon mercato, compiacimento del desiderio maschile. Se confondiamo la libertà con l’adeguamento all’offerta della cultura patriarcale possiamo finire su strade pericolose e senza ritorno, che includono nella nostra autodeterminazione anche pornografia e sesso a pagamento. 
Siamo sicure che prostituirsi o recitare cliché sessuali di sottomissione e violenza sia in sé innocuo solo perché lo abbiamo scelto noi, che possiamo fare spallucce e non sentirci umiliate se l’uomo lo trasforma in torbido? Siamo davvero sicure che davvero a noi tutto questo piace?

Concludo dicendo che il culo in sé non mi scandalizza affatto e anche senza questo francesismo il bronzo della Spigolatrice come opera d’arte comunque lo trovo brutto. E lei me la figuro molto diversa, con la gonna vermiglia e un fazzoletto a raccogliere i capelli, come nel disegno del mio vecchio sussidiario di bambina. Per me quella ragazza non è una qualunque, non può essere soltanto un corpo, cavoli! Era una sorella dei combattenti, appassionata e tenace tra il fumo degli spari, sporca di terra e sangue. 
Durante la battaglia non c’era tempo per le pose da iger e non credo che avrebbe apprezzato i commenti dei soliti morti di figa sotto il suo selfie alla Diletta Leotta. Lì c’erano da piangere altri tipi di morti. Così mi hanno insegnato in quinta elementare leggendo quei versi e io la penso ancora così.

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