Don't Look Up



Capolavoro o americanata? “Don’t Look Up” di Adam McKay vira decisamente verso la seconda che ho scritto, ma è pure vero che già da due anni ci stiamo scusando con gli sceneggiatori americani per i vari blockbuster catastrofici che abbiamo sempre perculato e invece all’improvviso sono diventati la realtà dove viviamo.

Siamo ufficialmente intrappolati dentro una storia distopica, trash e popolata di topoi tragicomici da quattro soldi, quindi becchiamoci lo sfottò del rassicurante “andrà tutto bene”, mantra dell’inquietante guru Peter Isherwell (Mark Rylance), uno dei personaggi più grotteschi del film. Dove il nostro pianeta è minacciato da una rapida estinzione (vi ricorda per caso qualcosa che sta accadendo qui e ora? Non è casuale), bersaglio di una gigantesca cometa in picchiata verso la Terra. A scoprirla è stata la ricercatrice Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), che insieme al professor Randall Mindy (Leonardo Di Caprio) informa del terribile evento la Nasa perché il governo Usa prenda in carico le sorti dell’umanità indossando il congeniale mantello di supremo salvatore. Convocati a Washington al cospetto del presidente Janie Orlean (una fantastica Meryl Streep scandalosa fumatrice alla Casa Bianca), i due astronomi si rendono conto che nella massima istituzione la faccenda viene presa sottogamba e decidono di lanciare la bomba sui media. L’effetto non sarà però quello sperato, perché il countdown del pianeta si trasforma in materiale da scoop di bassa lega, meme macabri e strumentalizzazioni politiche.

Da qui in poi è la farsa totale, un bestiario circense in salsa satirica. La grafica dei titoli da film di fantascienza degli anni Sessanta e le musiche in tema suggeriscono che questa sia una commedia di genere, lasciando agli spettatori l’interpretazione emotiva da adattare alla visione (double face: gli impressionabili della pandemia si astengano, i fatalisti si divertano con sornioni parallelismi con l’attualità; traccia libera per i complottisti).
Basato su eventi "possibilmente reali". Nelle oltre due ore di film, si oscilla tra risate e profonda tristezza, ma pure indignazione perché, come abbiamo imparato nel 2020, dalle crisi globali non si esce migliori ma corrotti. Lo raccontano impeccabilmente lo script volutamente didascalico (il regista è abile sceneggiatore, ha già vinto un Oscar per “The Big Shorty”) e il cast stellare, guidato dal solito Di Caprio primo della classe. Il suo Randall Mindy è esemplare specchio delle miserie umane: dapprima lo adoriamo perché non ruba la scoperta scientifica alla sua allieva e imbottito di ansiolitici si schermisce dalla fama di scienziato sexy strizzando gli occhi azzurrissimi dietro le lenti da secchione agé; poi anche lui si ubriaca di popolarità e soprattutto dell’assedio dell’anchorwoman pantera Brie (Cate Blanchett), di cui diventa amante abbandonando moglie e figli (ma la consorte tradita lo umilierà rivelando alla biondona l’aiutino del Cialis). Spannung da brivido nella scena madre, dove Randall ritorna eroe gridando al mondo quello che anche tutti noi, con un altro asteroide sospeso sulle nostre teste, ormai sappiamo: i governanti a cui abbiamo affidato la nostra sorte e che dovrebbero salvarci sono completamente fuori di testa e ci stanno mentendo.
Tra il generale tracotante che fa la cresta sugli snack gratuiti delle cucine presidenziali, la fatua coppia del gossip (Ariana Grande e Scott Mescudi), il colonnello fascista felice di fare da cavia patriota, che si fa lanciare nello spazio cantando “Alabama”, sfila una carrellata di campioni umani di estrema idiozia, uno più ripugnante dell’altro. Viene quasi voglia di tifare per la cometa e brindare all’azzeramento di tutto lo schifo che abbiamo fatto dal Big Bang ad oggi. Unico baluardo di purezza è la dolce Kate, a cui Jennifer Lawrence dona giovanile idealismo e una straripante fragilità sentimentale: crivellata dallo shitstorming e sbeffeggiata per le sue umanissime smorfie di dolore, lei sola, pietosa Madonna, ha il coraggio di piangere per il destino del pianeta.
Putroppo non basta, questo Re non è mai nudo e a spogliarlo dovrà infine essere l’onnipotenza del cosmo. E neanche è leale da parte di McKay nascondere un’anima nera come la presidente Orlean dietro le adorabili fattezze di Meryl Streep. Che sia auspicio dell’arrivo di una donna alla Casa Bianca o parodia di una Hillary finalmente vittoriosa (in una foto si vede Jean abbracciata a Bill Clinton), come si fa ad odiare una che ammette seccamente di aver finanziato la missione anti-cometa soltanto per distogliere l’attenzione da un’imbarazzante paparazzata di sexting? A proposito di donne non angeliche, citazione d’obbligo pure per Cate Blanchett, sfrenata cultrice di piaceri, lussi e materialismo. Cinica senza sensi di colpa, è un’orribile narcisista che disprezza tutti, non si accontenta, gode e non tiene affatto a passare per santa - quindi cosa vuoi dirle… beata lei. Detestabile davvero è invece il cretinissimo Jason (Jonah Hill), figlio viziato di Jean e da lei piazzato sulla poltrona di capo di gabinetto, che alla fine, quando si compirà la tragedia, sarà scaricato persino dalla mammina.
Già perché, sfiorando lo spoiler, devo avvisare che in un pur classico canovaccio di scontro epico tra Bene e Male il lieto fine non arriva. Forse perché non è proprio chiaro quale sia il Male (l’asteroide o gli abitanti della Terra?). Come ha annunciato Randall dando sfogo alla disperazione, è certo che moriremo tutti - ma le alte sfere tenteranno di smentire questa profezia da uccello del malaugurio. Mentre la gente va nel panico e la paura attanaglia ogni latitudine del globo, Orlean e i suoi lacché (ma lei stessa è servilissima suddita dell’invasato Irsherwell, terzo uomo più ricco d’America) blandiscono i popoli assicurando che l’ennesima geniale iniziativa contro la cometa killer – un attacco multiplo che vorrebbe vampirizzarne gli elementi minerali necessari a foraggiare la produzione dell’industria Bash - oltre a scongiurare la distruzione della Terra farà scomparire ovunque la povertà. 
I negazionisti del disastro saranno però sconfitti da un’insperata, schiacciante evidenza: la cometa appare lassù, vivida e tremenda scia in cammino nei cieli e nessuno può più dire che non esiste o è frutto di calcoli scientifici sbagliati. Basta guardare in alto. E nonostante Washington lanci un movimento che invita a fare il contrario, a tenere gli occhi al suolo, la censura del “Don’t Look Up” non funziona e la presidente, con una selezione di privilegiati, è costretta ad arrendersi ed emigrare a bordo di una navicella spaziale crioconservata, condannando a morte il resto dell’umanità.
Sembra uno sfacciato spoileraggio, ma in realtà il finale del film accade dopo i titoli di coda (che sono lunghetti, quasi dieci minuti), quindi non spegnete Netflix e avrete servita una sorpresa da perfetto colpo di teatro. Se bella o brutta lo scopriremo vivendo, e non solo nella finzione.

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