Perché siamo mamme anche se tentate di farci passare la voglia



Elisabetta Franchi è stata sul pezzo. Alla vigilia della festa della mamma, la stilista bolognese se ne esce con l’infelice dichiarazione di come nella sua azienda per i ruoli dirigenziali si scelgano soltanto uomini oppure donne rigorosamente over 40 perché a quell’età gli eventuali figli sono già grandi, e, se non ce ne sono, ormai le signore non li faranno più.

L’Elisabetta si è difesa spiegando che, come sempre accade, le sue parole sono state fraintese e il resto del mondo non ha capito un cosiddetto. Però evidentemente saremo scemi in blocco, perché quello che tutti abbiamo pensato è che la stilista, come la quasi totalità dei colleghi imprenditori italiani, seleziona le dipendenti donne in base al requisito che non abbiano figli perché, si sa, la prole si ammala, ha tante esigenze e poi si inizia con il congedo di maternità e si continua con quello parentale, e la scuola, i compleanni, le vacanze familiari – insomma, queste madri lavoratrici sono sempre assenti e, obbrobrio!, devi pagarle quando stanno a casa con i bimbi.
Credo che si contino sulle dita di una sola mano le lavoratrici mamme che non hanno mai vissuto l’esperienza di sentirsi dire (nel chiuso della stanza del capo, senza testimoni) frasette premurose come “ma tu pensi di avere figli?”; “adesso però ne hai due, ti fermi qui, vero?”; “e con i bambini come fai?” - preoccupato quesito posto con impudenza (e cretinaggine) persino all’astronauta Samantha Cristoforetti, in procinto di partire per una missione spaziale. Insomma, a differenza degli uomini, le donne, se non sono milionarie, continuano a dover scegliere tra famiglia e carriera. Trovando, dall’altra parte della scrivania, non soltanto i tradizionali datori di lavoro maschilisti e stronzi, ma pure una come Elisabetta Franchi, figlia di una donna che da sola e non nella bambagia ha cresciuto lei e i suoi fratelli.
Non tutti (e tutte) si sono indignati per le parole della stilista luxury. Tanti hanno approvato la sua cruda oggettività nell’esporre pane al pane quale effettivamente sia la situazione del lavoro femminile in Italia. Cioè: ha detto la verità, qual è il problema? Intanto il problema è che ancora esista il concetto di lavoro per genere femminile o maschile. Ma ok, esiste, quindi non possiamo fingere il contrario o raccontarci la favoletta delle donne uguali agli uomini, a partire dagli stipendi.
Proseguono poi i non indignati: Eh, ma Franchi ha l’80% di dipendenti donne. Eh sì, lei ai piani alti preferisce uomini e presunte attempate zitelle così le lavorano 24h e non rompono, ma questa è semplicemente mentalità imprenditoriale. Le aziende non sono enti di beneficienza.
Vero. Però chiedere una disponibilità di ventiquattr’ore al giorno non è mentalità imprenditoriale, quello si chiama sfruttamento, alienazione. Anche se paghi oro. Anche se ricambi con benefit, regali, prestigio e bacio in fronte. Qualcuno ribatte che almeno Franchi offre un’opportunità alle donne non più giovani, tradizionalmente schifate dal mercato del lavoro. Ma davvero vi basta questo contentino fariseo? Davvero volete dire a un’adolescente studentessa che domani, se non vorrà occuparsi dei servizi domestici e lavorare, dovrà privarsi della maternità (anche del matrimonio possibilmente, perché le giovani sposine, in odore di progetti genitoriali, sono ugualmente invise ai datori di lavoro)?
Alla fine a cosa servono i soldi? Lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare? E quando sono le donne dei paesi dell'Est a trasferirsi lontano dai figli per mandare soldi nel loro paese, lì dove restando con i bambini da brave mammine morirebbero tutti di fame, allora va bene?
La situazione descritta da Elisabetta Franchi tralascia il piccolo particolare che prima arrivare ad una stabilità economica propedeutica al progetto di famiglia i giovani italiani toccano facilmente la boa dei 35 anni e persino gli “anta”. I figli oggi le donne li fanno soprattutto in questa fascia d’età. Non poche, poi, riducono volontariamente il congedo di maternità non obbligatorio (lo è soltanto nei mesi a ridosso del parto, prima e dopo) perché amano il loro lavoro. O, come Cristoforetti, pur avendo figli piccoli si spostano (non a un tiro di schioppo da casa, qui…) per motivi professionali: bambini a cui sicuramente, nei cinque mesi della missione, lei mancherà, però è una figata vedere la propria madre su Tik Tok fare gli auguri a tutte le mamme giocando con due peluche, in diretta dalle stelle.
E comunque se vogliamo parlare delle donne che non hanno figli o non ne vogliono, non è che siano, come le immagina la stilista, stakanoviste asessuate euforiche al pensiero di straordinari, festivi e notturni e reperibilità perenne. Forse, cara Elisabetta, le donne senza figli potrebbero chiederti, obbrobrio!, le ferie per fare un viaggio o un congedo per scrivere la loro autobiografia o partecipare a un torneo sportivo. Forse, pur non avendo il pupo con la febbre, si ammalano loro e quindi si assentano lo stesso.
Va bene, sarà stato tutto un malinteso e Franchi non voleva dire questa cosa meschina. No, lei, che è madre e lavoratrice, non divide le donne tra pancine scansafatiche e zitelle votate al carrierismo a oltranza come risarcimento del grembo vuoto. Però, cara Elisabetta, che c’entrava quell’idiozia dell’amorevole ruolo delle "piccole" donne sostegno dei "grandi" uomini come didascalia di una foto del Moto GP di Jerez dove una hostess con tutina seconda pelle griffata che regge un ombrello griffato da te per offrire frescura al campione Valentino Rossi?
Ripetiamo da anni la litania che uomini e donne devono avere gli stessi diritti, compresi quelli di potersi realizzare sia nel lavoro che nella vita privata. In realtà la situazione è talmente degenerata che oggi sono le donne stesse a fare scelte di campo radicali – che non sono sempre volontarie, ma più spesso frutto di una ragionata accettazione.
Uno specchio formidabile di questo fenomeno sono i social, e in questo caso il panorama delle influencer. Per una Chiara Ferragni che esalta il suo ruolo di moglie e madre mentre continua a fare campagne pubblicitarie da sballo, premiere ed eventi di gala e senza neanche lesinare vacanze con gli amici e senza pargoli a carico, ci sono le nuove it-girl che su Instagram si presentano nelle esclusive vesti di mamme e angeli del focolare. Ad esempio Lara Zorzietto, arrivata alla notorietà dopo l’edizione di Temptation Island dove spopolò il suo tormentone “lo smonto come un mobile dell’Ikea” contro il fidanzato traditore e bastardo. Oggi Lara non soffre più per il narcisista di turno, convive con il commerciante e artigiano Mattia (che per un segno del destino lavora nel settore dell’arredamento) e ha due bambini, protagonisti di stories-cronaca dove ci fa vedere come sistema la casa, cambia pannolini, compra vestitini infantili e fiori per il giardino, indossa leggings anticellulite per tornare in forma dopo le gravidanze. Tutta l’attività social di Lara è così, fatta di quello che rappresenta, dichiaratamente, la sua vita: una che non lavora e non fa altro che occuparsi di compagno e bimbi e postare in diretta ogni momento delle sue giornate, chiedendo e dando consigli alle altre mamme. Esplicativa è infatti la bio del profilo: “Un salto nella mia casa e la mia famiglia”.
Meglio Lara, struccata e naturale con i suoi bellissimi figlioletti, o le varie Giulia De Lellis con le foto a Dubai in piena pandemia, tutte clonate, gonfiate e in serie come canone di male gaze comanda? Forse nessuna delle due tipologie, perché una donna non è rigidamente in un modo o in un altro. E’ anche mamma. E’ anche strafiga. E’ persona. Però Lara (a cui, nonostante la sua immagine acqua e sapone o chissà, proprio per questo, non manca un codazzo di hater velenosi – è Instagram, bellezza) nelle sue storie sembra immensamente felice. E i bambini sono una meraviglia, la sua famiglia piena di calore emana serenità. Quindi si plachino femministe e istigatori di polemiche: non diamo addosso a chi non vuole figli, ma neanche a chi è felice di fare la mamma. La mamma e basta, sì.
Come la giri e volte, le donne continuano ad essere figure incasellate. Mamme o lavoratrici di successo. Belle statuine decorative della scena maschile o solitarie macchine da lavoro. Quando succede qualcosa di brutto, la colpa è sempre nostra. I matrimoni crollano perché oggi, anziché restare prigioniere di qualcuno che ci tradisce, ci umilia, ci usa violenza, ce ne andiamo con mille pretese di amore e rispetto. I femminicidi accadono perché lei era una pornostar, o non puliva casa, o si sparava selfie mezza nuda sui social. Un uomo violento con i figli della compagna è meno colpevole di lei, la mamma separata o vedova che invece di dimenticare la felicità sentimentale e votarsi alla solitudine di genitrice assoluta, ha osato mettersi in casa un altro uomo. L’endometriosi attecchisce perché non si hanno figli, che sarebbe tutta salute. Quest’ultima, incredibile osservazione è stata fatta alla modella Giorgia Soleri, consigliandole, per guarire, di procreare con il fidanzato Damiano, frontman dei Maneskin. E mi ha ricordato un episodio di “Sex and the City” dove a Samantha, che ha appena scoperto di avere un cancro al seno, una dottoressa lascia intendere che il male sia conseguenza della sua lunga promiscuità sessuale. La nostra Sam è ovviamente ferita da questa velata accusa e si chiede se davvero si sia presa il cancro perché le piace fare sesso, salvo ritrovare poco dopo in sala d’attesa una suora vergine e con lo stesso suo tipo di tumore…

Su un gruppo di Facebook ieri ho letto un post anonimo, dove una donna confidava di aspettare la festa della mamma per avere almeno un giorno all’anno in cui ricevere una razione di affetto anziché sgarbi e indifferenza da parte del marito e dei figli adulti. Affetto fasullo, ma per lei preferibile al niente – un’illusione necessaria, l’urgenza di una panacea di conforto per tirare il fiato e poi continuare a testa bassa la sua vita. “Scusate lo sfogo, mi sento sola ma passerà”, scriveva la donna anonima, che mi ha suscitato infinita tristezza, così come invece mi trasmettono gioia i tanti post che, non soltanto per la festa della mamma, giungono da figli che manifestano ammirazione, gratitudine e legami profondi con le loro madri (viventi o scomparse).
Ci sono figli di entrambe le categorie: quelli che vedono le madri come cameriere di casa o bancomat, e quelli che le amano e glielo dicono. Mi sono chiesta perché lo facciamo. E’ per questo che mettiamo al mondo figli? Per sentirci dire un giorno: “Mamma ti amo, grazie per avermi dato la vita e per tutto quello che fai per me”? Oppure per sentirci dire che i nostri figli ci ammirano, ci considerano punti di riferimento, pensano che noi gli abbiamo insegnato come vivere?
Sì, anche per questo. E non è un reato avere una simile aspettativa – è umanissimo, sì. So certamente anche perché i figli *non* si dovrebbero fare. Non per tenerli legati a noi e trasformarli in bastoni della nostra vecchiaia. Non per imposizione sociale. Non per riscattare le nostre frustrazioni. Non per farne perno totalizzante della nostra esistenza. Perché, in questo caso, se rinunciamo a tutto per i figli – se per loro ci condanniamo a rapporti senza amore o dilaniati dalla sofferenza; cancelliamo ogni impulso di autodeterminazione; deprimiamo i nostri talenti, sennò “come fai con i bambini” – poi dovremmo pretendere la stessa cosa da loro. E diventerebbe una relazione malata ed egoista. Non più madri e figli, ma reciproche sanguisughe che si rinfacciano sacrifici e pretendono devozione coatta. Finiremmo per odiarci. In qualche caso a ucciderci.
Lo facciamo – diventiamo madri, ma anche padri – perché è il mestiere più difficile e si sbaglia sempre ed richiede sforzi e impegno. Però, quando lo abbiamo scelto, tra noi e loro circola un universo d’amore. E ne abbiamo bisogno, inutile negarlo. Di quei “grazie”, di quelle foto che, quando non ci saremo più, i nostri figli orgogliosi e nostalgici mostreranno ai nipoti che non ci avranno conosciuto. Del tocco di manine piccole e sudate come di quello di braccia forti – braccia di uomini e donne che li abbiamo creati proprio noi. E da mamme, prendiamocela tutta la parte faticosissima fatta dal nostro corpo, dall’aver ospitato la vita nelle viscere, aver nutrito e partorito.
Qualcosa può andare storto, certo. L’amore non risiede nel dna. Ma se ci si prova perché le cose vadano bene, il motivo è quello giusto. Ecco perché continuiamo a diventare madri anche se si fa di tutto per farcene passare la voglia.
Chi diventa madre crede ancora che si possa tentare di lasciare a questo pianeta persone migliori di quelle che lo abitano oggi. Sarebbe anche un po’ merito nostro, e allora sai che soddisfazione.

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