Women Talking



E’ luminoso e insieme lancinante il finale di “Women talking”, bellissimo film di Sarah Polley nella cinquina dei candidati all’Oscar. Nell’ultimo fotogramma – che non rivelerò – è racchiusa la speranza di un altro mondo possibile per le donne, edificato da loro stesse liberandosi con le unghie sanguinanti conficcate nella terra, gli occhi tumefatti, i brutali lividi delle violenze. Speranza, ma anche disillusione: qualsiasi donna veda il film sentirà fortissima questa morsa nelle viscere perché non ce l’abbiamo ancora fatta a garantire alle nostre figlie che il loro futuro sarà diverso.
Le donne della storia, che vivono in una colonia rurale mennonita dove alcuni uomini abusano di loro narcotizzandole. E' un fatto vero, accaduto nel 2010 a Manitoba e narrato da Miriam Toews nel romanzo "Donne che parlano", da cui è tratto il film. Le donne si svegliano ogni mattina con segni dolorosi e sensazioni traumatiche ma quando lo raccontano viene detto che sono visite di fantasmi, sogni, deliri psicotici o semplici irrazionali paure femminili. Invece è tutto vero, e a confessarlo dopo essere stato visto durante l’atto è uno degli uomini, aprendo la diga verso una serie di denunce che espongono le donne al rischio di una vendetta da parte degli stupratori eventualmente assolti. Prima che questo accada, le donne dovranno prendere una decisione. Restare nella comunità e opporsi agli aggressori difendendosi da ulteriori violenze in un inferno quotidiano, continuare a denunciarli ed essere espulse dalla comunità o andarsene lasciando tutto, compresi gli affetti maschili. 
Così si riuniscono e iniziano a parlare. Lo fanno a lungo e ogni parola è ponderata, pesante, generatrice di scelte, piena come una gestazione. Le ascoltiamo e sono esatte, entrano dentro e spiegano quello che ciascuna di noi ha provato almeno una volta nella vita. Inutile sbandierare condizioni di felice immunità, ci riguarda tutte – anche le privilegiate, le fortunate, quelle nate dalla parte giusta del mondo o nell’epoca meno buia. Sentirsi bandite dalla realtà, esseri inesistenti e invisibili per aver denunciato una violenza. Avvertire all’improvviso e senza rimedio di aver perso se stesse e sentire la mancanza di quello che non si potrà più essere.

Le donne parlano e si confrontano. E’ un autentico consiglio di stato, un’assemblea politica e normativa dove regna un confronto acceso ma rigorosamente democratico. Nel film è scandito da una suspence emozionante, con una costruzione narrativa e stilistica quasi da noir. Hanno età diverse ma le più conservatrici sono paradossalmente le giovani, ed è una circostanza che fa tenerezza: le anziane subiscono da troppo tempo ed hanno compreso che senza un cambiamento radicale si estingueranno con le loro figlie. I dialoghi di questo film, immersi in una fotografia di grandi spazi alternati a immagini oniriche scioccanti (la rappresentazione della violenza è durissima, insostenibile), sono gemme preziose. Aprono rivelazioni. Fanno male e poi leniscono. 
Un racconto femminista, certo, dal quale gli uomini sono ovviamente tagliati fuori (e nel film gli aguzzini non si vedono mai) – anche quelli incolpevoli delle violenze come l’insegnante August, figlio di una rivoluzionaria rifiutata dalla comunità, o Melvin, nato in un corpo non suo e riconosciuto maschio (che lezione contro le discriminazioni da donne che si presumono mai uscite da una comunità ristretta e isolata), e tanti amatissimi fratelli, dai quali le donne dovranno separarsi. Il sacrificio degli affetti è un passaggio inderogabile perché arrivate a questo punto hanno capito che la libertà e la sicurezza vengono prima di tutto il resto. Potrebbe sembrare una divisione in barricate, invece è una necessità. Gli uomini non sono tutti uguali, ma il modo in cui vedono le donne, tramandato dalle generazioni, sì. E’ per quello sguardo che le donne non sanno leggere e scrivere, non hanno mai superato l’orizzonte geografico della comunità, sono ridotte alla sottomissione con il ricatto della blasfemia religiosa. Verrà il tempo del perdono, della comprensione e la pietà, ma per maturarlo occorre mettere una distanza tra i sessi. Le donne devono riflettere su quello che hanno subìto, individuare la forza scatenante, curare le ferite in un territorio neutrale. I sentimenti indeboliscono e confondono la visione, bisogna far sedimentare le passioni e osservarle da fuori, ognuno per conto suo. Un perdono che sgorga dalla costrizione sarebbe mendace, per valere dev’essere volontario e sincero. Le donne partono (la parola fuga è cancellata immediatamente, scappare è altro, è una vigliaccheria inaccettabile, svilente a fronte di tanto dolore) e gli uomini restano soli. Ma non è una storia di trincee inconciliabili, “Women talking”. Al contrario la grazia di queste donne è nel loro naturale pacifismo. Ona (la meravigliosa Rooney Mara) lo ripete come un mantra: mai combattere, solo muoversi. Un’orgogliosa affermazione di identità, anche. Andarsene per non diventare uguali ai violenti. Le donne sanno bene che rimanendo dovranno entrare in guerra, aggredire, uccidere. Non siamo questo e non lo saremo mai: le donne non riescono ad evitare l’apprensione per gli uomini privati delle loro cure, condannati – ne sono certe – incapaci di curarsi, votati ad abbandono e degrado. Anche se poi il pensiero che alle figlie infliggano quello stesso male le trasforma in angeli giustizieri. Non lo permetteranno, a costo di essere maledette da Dio: non è il terrore di ogni madre di femmine quello di vedere cicatrici gemelle delle proprie sulla pelle delle figlie? La guerra è affare maschile, noi siamo amanti e madri. Ona ama tutti e soprattutto quella vita che le cresce nel grembo, frutto di violenza ma che lei vuole convertire in bene, la perfetta innocenza di un essere nuovo e puro (lo erano anche gli stupratori quando nacquero da altre donne). Uscendo dalla sala, una frase da scolpire nel cuore a caratteri sfolgoranti: la speranza per l’ignoto è meglio dell’odio che conosciamo. Il calesse che conduce le donne verso la conquista dei loro diritti percorre una strada crivellata di buche che fa tremare le ruote. La viaggiatrice pensa di essere nel torto, di sbagliare, perché quel rumore le fa paura. Ma proseguirà, anche se sarebbe più facile tornare indietro.




Commenti

  1. l'amore al cinema https://igds.tube si esprime in questo: tutto dipende dal fisico, dalla personalità, dalle ombre sulle guance, dal mento volitivo, dalla malinconia e dalle abitudini bestiali.

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