Barbie



Anche Greta Gerwig da bambina ha giocato con Barbie, come me e tante donne della mia generazione, che credo sia stata quella del passaggio più lungo dall’infanzia all’adolescenza, dove la comfort zone delle bambole è stata dilatata e difficile da abbandonare. 
Ecco perché - prima ancora di capire che questo film annunciato un anno prima con dichiarati obiettivi di operazione commerciale e di costume planetaria è anche un racconto femminista, intelligente, divertente e ben fatto – Barbie lo stiamo vedendo e stiamo parlando tutte: giovani e meno giovani, intellettuali, disoccupate, manager, modelle, studentesse, professioniste. In fondo quella bambola fu inventata proprio per questo, come si spiega nella pazzesca scena iniziale (con citazione cinematografica supercult di Kubrick): per dire alle bambine abituate a giocare con i bambolotti da cullare e fasciare che le donne possono essere fighe, indossare abiti deliziosi, lavorare in ogni campo e soprattutto avere ruoli di potere. Poi chissà come, quella ragazza statuaria vestita di rosa è diventata la bestia nera del femminismo: troppo perfetta e sorridente, troppo sessualizzata, troppo trofeo maschile. Ma questo film ristabilisce la verità, ricordandoci che Barbie non è mai stata accessorio estetico di Ken, ma il contrario. La casa dei sogni, la macchina sportiva, il camper, la piscina, sono tutti suoi e a Barbieland c’è una presidente e Nobel e premi letterari li vincono solo le donne, mentre i Ken sono nelle retroguardie, pendendo dalle labbra delle bambole e contendendosi il loro favore per salire qualche gradino. 
Ci ricorda qualcosa? Nel mondo reale la situazione è capovolta e Barbie, sinceramente convinta della bontà di un universo a guida femminile (è questa la figata della storia, lei ci crede, è una Lisistrata con la gonna a palloncino e la borsa Chanel), è colpita dallo choc del patriarcato che le mostra uomini ovunque, dagli uffici ai cantieri, e subito impara l’istinto naturale e selvaticamente repulsivo dell’oggetto di molestie: il climax nella scena in cui, subendo apprezzamenti pesanti, senza troppe didascalie sociologiche, scopre che esiste il catcalling e si becca la prima pacca sul sedere. Non sa perché arrivi quella mano indesiderata, ma è un trauma perché nel suo gineceo con contorno di Ken evirati e innocui, l'umiliazione non esiste. 
E che dire dei tacchi alti? Con i nostri piedi piantati a terra la nostra eroina non si sognerebbe mai di portarli, non sarebbe più un piacere ma una tortura. Benvenuta tra noi, Barbie. La bambola si sente in colpa perché era nata con una precisa missione, avverare nel suo mondo i sogni delle donne e trasferirsi nell’altra dimensione, quella nella quale invece le sorelle devono compiacere gli uomini, e finire in una delle due uniche caselle disponibili: lavaggio del cervello patriarcale o stramba/brutta, quindi da buttare come una Barbie maltrattata e rotta.

Avrei voluto vedere il film con mia figlia ma poi è stato bello che a causa di un impegno lei l’abbia fatto per prima, consigliandomene la visione e raccontando cosa ne aveva pensato. Ne abbiamo discusso dopo che ho recuperato anche io, ed è stato un momento straordinario. 
Ovviamente la percezione è diversa a ogni età, ma questa ondata rosa di ragazzine, mamme e nonne che vanno al cinema in rosa e si concedono anche la leggerezza di una foto nella scatola di Barbie è potentissima. E ho letto pochi commenti negativi. Il film è piaciuto a me come a insospettabili donne con cui non ho niente in comune, persino tipe che non sopporto. Ma tutte abbiamo giocato con lei e qualcuna di noi ha conservato le sue Barbie o le ha regalate a una figlia, spesso sacrificandola a manine meno caute. Forse l’alternativa non c’era, in effetti. Barbie era la migliore, e volevamo lei. Però le abbiamo voluto bene perché lei era tutto quello che noi decidevamo che fosse (sapeva fare ogni singola cosa che ci inventavamo!) e ci insegnava che una donna può trasformarsi in chiunque. Avere soldi e successo. Suoi, non di Ken come si ironizza in un meme velenoso di certe community maschiliste su Barbie divorziata che costa di più perché possiede immobili e beni dell’ex. No, a Barbieland sono gli uomini i mantenuti che si prendono il frutto del lavoro e del valore delle donne, in una versione satirica della distopia violenta che avevamo visto anche in “Don’t Worry, Darling”. 
Ma neanche questo è giusto, e sarà la stessa Barbie a scusarsi con Ken, che l’ama e le è davvero devoto, perché troppe volte ha preferito le amiche a lui. Piangere per entrambi sarà una rivelazione: le lacrime che rigano le gote, i singhiozzi, possono dire qualcosa che i bianchissimi sorrisi a trentadue denti del mondo di plastica non riescono.
La verità però è che lei non è innamorata di Ken, e, quando entrerà in crisi, a farla tornare alla vita non sarà il rapporto con lui ma la consapevolezza di sé stessa. Alla fine, come la Sirenetta, chiederà alla sua mamma Ruth Handler, che l’ha creata, la magia di vivere nel mondo vero, ma in palio qui non c’è la mano del principe ma una vagina. Cara Barbie, come Ariel scoprirai che ora inizia il dolore e che a Barbieland si stava bene proprio perché non c’erano né vagine né peni.

Per anni ci hanno detto che Barbie, con il suo corpo irreale di gambe chilometriche, vitino di vespa e seni iperbolici, era un’immagine dannosa per una bambina che cresce e sogna di diventare come lei. Invece a me questo non è mai capitata – quel disagio, quel sentirsi difettosa, mi è capitato guardando i social e confrontandomi con le donne virtuali, e so che oggi accade anche a tantissime adolescenti. Barbie non ci ha mai fatto lo stesso effetto, ma usarla come caprio espiatorio è servito a delegittimare quella donna sicura di sé e capace di ogni impresa. Anche quando aveva le gambe rigide e la testa che non si girava. La protagonista, in quanto Barbie stereotipo, è il male assoluto, la summa di tutti i cliché. Ed è geniale che la rivoluzione parta proprio da lei. Uno stereotipo che si ribella perché essere solo apparenza e saper fare tutto e realmente nulla non è affatto gratificante. Non è degno di una donna. Ognuna di noi è qualcuno, occorre uscire dalla scatola e scoprirlo. Barbie lo fa gettandosi nel vortice del suo stesso trasformismo onnipotente e riemergendone con un'identità. Imperfetta ma vera. Diversa e unica come la sorpresa del viso solcato da rughe di una donna anziana, più bella del diktat femminile di giovinezza incarnato dalle bambole.

Nel film è una vera gioia per gli occhi ritrovare le vecchie case a due piani, lo scivolo, le palme fucsia, i letti a forma di cuore dei nostri giochi d’infanzia. Un gran regalo a Mattel, che però accetta l’autoironia di essere rappresentata come azienda avida e interessata solo al profitto. Poco importa, qui parliamo di un mito non di un prodotto. E il rosa non è sciocco, anzi di cretinaggini ne fanno tantissime anche i Ken, in una par condicio di frivolezze e canzoncine in stile musical hollywoodiano (ma anche con riconoscibili ispirazioni da cinema e letteratura per ragazzi molto fantastica), che è tra le cose più riuscite.  La colonna sonora è stellare, da Dia Lipa a Billie Eilish e Nicki Minaj. Gli attori sono bravissimi, da Margot Robbie, America Ferrera (il suo monologo femminista è da brividi) e lo spassoso e adorabile Ryan Gosling, che è fantastico nel tentare di farne un film per maschi e femmine, ma sappiamo bene che non è così (anche che Gerwig, anche produttrice, l’ha scritto con il marito Noah Baumbach, ed è un fatto carinissimo). Questo è un film per ragazze tout court, che però i ragazzi dovrebbero vedere, anche se probabilmente non lo capiranno. Qualcuno ha detto che è un inganno, una specie di pubblicità truffaldina, presentandosi come fiaba e poi deludendo le bambine che in sala speravano di trovare Barbie immersa nella solita luce di stelle e invece hanno trovato una donna con la cellulite e pensieri di morte. Credo però che il tono spumeggiante del film lo renda adatto anche alle più piccole: tante cose non si possono spiegare a chi ha 7 anni, ma restano, gettano un seme. In realtà ai bambini si può spiegare proprio tutto, e Barbie è la maestra ideale per dire alle ragazze di ogni età che se quel mondo femminile senza molestie e fatto di libertà e autodeterminazione sopravvive solo se le donne si mettono insieme e agiscono unite. Stereotipi, strambe o dark, per vincere una guerra dobbiamo essere amiche. Ed è la vera, meravigliosa utopia dell’infanzia che ci ha donato Barbie.



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