Povere creature!




Finalmente siamo riusciti a vedere anche in Italia “Povere creature!” di Yorgos Lanthimos, e adesso tutti vogliamo parlarne. Campione di botteghino annunciato, questa smania di commentarlo, consigliarlo, dirsene entusiasti o delusi, è di per sé un successo per il regista greco. Forse non sarà il suo film (già superpremiato con il Leone d’oro veneziano e il Golden Globe) a vincere l’Oscar, avendo come contendente favorito quell’Oppenheimer che contiene troppi sottotesti storici e di coscienza civile per non celebrarlo. Ma quale obiettivo più alto può esistere per un’opera artistica se non suscitare la voglia di interpretare, comprendere, trovare significati, metafore, visioni del mondo e dell’umanità e quant’altro?
“Povere creature!” sta facendo tutto questo, e ovviamente l’ottanta per cento di pseudo recensioni o pareri più o meno ‘competenti’ sono fuffa sconclusionata nata sull’onda del voler partecipare rivendicando ‘io l’ho visto e ve lo spiego’. Ma va bene così: film e letteratura consegnati al pubblico diventano proprietà dei destinatari e ognuno li vede a modo suo (anche se a volte si esagera).

In questo caso abbiamo due grandi fazioni. Da una parte chi grida al capolavoro allineandosi all’adorante giudizio dei critici festivalieri – e questi sono gli spettatori digiuni di Lanthimos. Dall’altra ci sono i conoscitori del regista, che non possono fare a meno di notare il profondo divario tra questo film e i precedenti. Il cambiamento del greco non è una novità, e coincide con la sua contaminazione hollywoodiana, che qui raggiunge il suo apice. Grande dispiego di mezzi, intanto. Attori stellari, da Emma Stone (diretta pure nella Favorita) a Mark Ruffalo, Willem Defoe e persino tra i ruoli secondari con Hanna Schygulla e Margaret Qualley. Costumi e scenografie sontuosi abbinati a effetti speciali immaginifici e capaci di costruire un universo irreale e distopico sospeso tra età vittoriana e fantascienza. Un romanzo affascinante e coraggioso, quello omonimo dell’inglese Alasdair Gray, sceneggiato da una firma d’esperienza come Tony McNamara, autore di dialoghi perfetti su carta millimetrata - mai paradossali, neanche quando sono oggettivamente didascalici su socialismo, patriarcato e lotta di classe.

E’ subito chiaro come per Lanthimos questo sia il film del salto di qualità sulla sponda del kolossal e della fama mainstream. Ché le onorificenze da festival sono una gratificante coccarda (e un trampolino), ma è su questa sponda che girano i soldi veri – quelli che servono per non rimanere confinati in una pur pregevole nicchia.
Lanthimos sta preparando questo exploit da anni – dai tempi del Sacrificio del cervo sacro e la Favorita, ma qualche segnale c’era anche in Lobster. Nessuno, e soprattutto lui stesso, potrebbe negare la differenza tra opere come Alps e Dogtooth e questa, tanto da far pensare, non sapendolo, a due autori diversi.

Ma veniamo a Povere creature, un film comunque molto bello oltre ogni aspettativa di capolavoro. Una fiaba gotica e grottesca e, sì, femminista. Con tanti punti in comune con Barbie (un altro aspirante all’Oscar), perché anche Bella Baxter (Stone) nasce come splendida bambola con neuroni basici, appunto creatura del geniale Godwin (Defoe), un folle totale votato alla sperimentazione scientifica appresa come vangelo dal sadico padre che nell'infanzia lo aveva usato come cavia. In nome della scienza tutto è legittimo, e quella roba infima dei sentimenti umani, amore compreso, non deve entrarci perché sarebbero soltanto frenanti ostacoli al progresso.
Bella, Frankenstein in crinolina, è frutto di un agghiacciante esperimento: le è stato impiantato il cervello del feto che portava in grembo quando in avanzata gravidanza tentò il suicidio. Chiusa nella residenza medico-scientifica di God la vediamo comportarsi come una goffa bimba che fa capricci e non controlla gli istinti. Animalesca, selvatica. Ma non è una minorata e mette subito in chiaro che la sua aspirazione è conoscere il mondo, abbandonarsi ad avventure e scoperte - essere libera insomma. Nel corso della storia questo progetto creerà qualche problema a quasi tutti gli uomini del film, i quali, chi più chi meno, vorrebbero in fondo tenerla buona tra quattro mura e godere della sua bellezza, trattandola come un oggetto di lusso.

Il patriarcato era una rivelazione scioccante per Barbie uscita dal suo mondo rosa (in realtà esisteva anche lì dentro, sopito e pronto ad esplodere). La bambola americana ne soffre più di Bella, che ha dalla sua un istintivo senso edonista che la porta a fare ciò che le procura piacere e felicità senza curarsi di divieti, convenzioni morali e reazioni delle varie figure maschili che a modo suo ama – God, creatore e padre, l’amante Duncan, il fidanzato Max. Ma ama di più se stessa, e la sua etica è quella di una finalità superiore del suo spirito avventuroso. L’obiettivo è migliorarsi, e da persona migliore contribuire a cambiare il mondo. Che è crudele, e Lanthimos di questo ne sa qualcosa e non si smentisce neanche stavolta tra squartamenti, sangue e sadismo.

La differenza abissale tra Barbie e Bella è nel sesso. Barbie lo capirà solo nella scena finale del film, con il riferimento alla vagina che non ha mai avuto. Bella usa il sesso come forza primordiale, strumento di relazione e conoscenza, canale di autodeterminazione e libera scelta. Ma a innescare la consapevolezza non è un uomo: le accade con la masturbazione, e non si fa intimorire dall’etichetta di riprovazione attorno a questa pratica, immorale per una donna della buona società. E’ partendo dagli orgasmi che impara a darsi da sola, in un rapporto di ascolto e accondiscendenza del proprio corpo, che Bella fiorirà come donna passionale, disinibita e aperta alla sessualità relazionale. I “furiosi sobbalzi” le piacciono molto e non se ne vergogna, anzi. E Lanthimos, che le nudità non ha mai disdegnato, qui elargisce corpi e amplessi a volontà.

Bella va avanti per la sua strada bruciando un campo di battaglia di tabù. La prostituzione e la curiosità per le perversioni maschili che prevale sul ribrezzo verso odori e fisicità sgradevoli. L’amore saffico e la promiscuità. L’ammissione di gradimento per il sesso violento e la sottomissione masochistica. La difesa dell’utero contro l’orrore attorno alle diagnosi di isteria.
Come dicevamo, gli uomini che la desiderano non reagiscono bene. Il seduttore Duncan (un eccezionale Mark Ruffalo narcisista patologico), che si è innamorato di lei per il suo temperamento ribelle e ardimentoso, impazzisce al pensiero di perderla e si trasforma in stalker vendicativo. 
Offese e minacce si sprecano ma Bella non si scompone, concentrata nella sua personale evoluzione che Emma Stone è ottima a incarnare, e avviene nel linguaggio, le idee, la padronanza corporea e di movimento e anche l'abbigliamento sempre meno da trofeo di vanto maschile (e con più pelle scoperta). Nel frattempo è diventata socialista, legge libri di filosofia e il suo animo imperturbabile si è acceso di indignazione per la povertà e le ingiustizie. Priva di istinto materno, è lei stessa bambina quando si commuove per un piccolo malato o lasciato morire di fame. Lei è il proprio figlio mai nato, è la purezza onnipotente della vita nuova e fiduciosa, che sente innata empatia per gli altri innocenti come lei.

Nel suo futuro Bella si vede medico come il fidanzato Max. Anche lui, come God, non è immune da colpe maschiliste, avendo accettato la dorata prigionia dell’amata imposta dallo scienziato – anche lui per paura, sostanzialmente. Ma proprio Max cito nella sua tenera dichiarazione di gelosia verso gli amanti della fidanzata per affermare che io non sono d’accordo con chi mette questo film nel calderone del femminismo radicale con il dente avvelenato verso i patriarchi. Max le dice che il pensiero degli altri uomini gli fa male ma non la scelta di prostituirsi, afferente all’impiego di un corpo che appartiene sono alla donna. Sincero e impietoso sulle sue debolezze di genere senza sventolare il femminismo piacione dei 'not all men'. 
Intendiamoci, i patriarchi ci sono, e a maggior ragione c’erano al tempo di Bella, ma l’indomita fanciulla non dichiara mai guerra all’altro sesso. Gli uomini la attraggono, trae gioia dalla loro compagnia sessuale e complicità, nella sua vita li vuole: per questo prova a trovare il buono in ognuno di loro. Non è un caso che il film passi dal bianco e nero al colore solo nel momento in cui la protagonista farà per la prima volta l’amore con un uomo.
Il rapporto di Bella con i maschi è ragionevole tanto quanto lei è orgogliosamente irrazionale. Quando le fanno torti ne parla apertamente, spiega loro come si sente e li invita a cambiare atteggiamento – in caso contrario, se ne andrà. Tenta persino di far riflettere i clienti del bordello parigino: Non sarebbe meglio che scegliessero le donne? Non vi dispiace che stiano con voi solo per obbligo e che provino disgusto se il vostro aspetto non è gradito?
La saggia e affettuosa maitresse le insegna un’amara verità. Spesso agli uomini piace di più se lei non vuole ed è costretta. Ma Bella non si arrende e pone nuovamente la domanda al marito che l’ha rapita: perché vuoi tenermi qui se io non voglio?

Le donne sono misere cose, come nel titolo originale del film, soltanto fino a quando restano confinate nella gabbia protettiva dei loro creatori, al sicuro dai pericoli dell’esterno ma anche ignare della bellezza, le opportunità e anche i dolori che attraversandole le renderanno autonome e pronte a decidere per sè. Accadeva anche in Dogtooth, e questo è l’unico importante collegamento con il primo Lanthimos: in entrambi i film ci sono la disperata idea di legare qualcuno impedendone lo sviluppo mentale e cognitivo, e un controverso scontro tra genitori e figli, che qui però s’intreccia con la questione femminile.

Nonostante la magniloquenza di temi e immagine (c’è praticamente di tutto, in questo film, anche la commedia e qualche sorriso), Povere creature non è mai noioso, quindi non farò spoiler che ne guasterebbero la trama avvincente. Il finale ci dice però che Bella non è ingenua, e aveva ragione lei. E’ riuscita a istituire la sua società ideale, composta dalle persone che ama e di cui condivide gli ideali, e in quella scena vediamo la profezia di un altro mondo possibile, fatto di serena armonia. Bella qui è il capo, riscattando tutte le donne di cui aveva notato l'assenza nei testi di storia e teorie filosofiche. Un trionfo di socialismo e femminismo, che sono bellissime utopie e per questo dobbiamo continuare a crederci.



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