Kinds of Kindness




C’è un po’ di tutto quello che abbiamo visto finora di Yorgos Lanthimos in “Kinds of Kindness”, ultimo film del regista greco con la musa Emma Stone, qui affiancata da Willem Defoe, Jesse Plemons e Margaret Qualley (altra attrice feticcio del cineasta ellenico).

Il cast hollywoodiano calato dentro un’iconografia e scelte stilistiche con reminiscenze sperimentali offrono a Lanthimos la summa perfetta del suo cinema. Detto in altre parole: adesso che è una star conclamata può fare quello che vuole, ma in modo molto diverso dalla totale libertà espressiva e l’audacia choc degli esordi. No, stavolta il maestro si autocita e il compiacimento finisce per prendergli la mano portandolo a deliri onanistici di cui avremmo volentieri fatto a meno in un film bello ma irrisolto. Bene, non benissimo. Ed è un peccato, perché le premesse c’erano tutte per ammettere Kindness nell’albo d’oro di Lanthimos (quello in cui, per me, sono inarrivabili Dogtooth e Alpeis, seguiti da Lobster).

Come dichiara il titolo, nelle tre storie del film (interpretate dagli stessi attori in ruoli diversi ma alter ego), si racconta di atti di gentilezza. Ovviamente intrisi di crudeltà e cinismo. Nella gente del sud (Yorgos capirà: nel Mediterraneo gli italiani e i greci hanno una faccia e una razza) risuona il proverbiale detto secondo cui quando il diavolo t’accarezza, è segno che vuole la tua anima. Accade così anche in queste vicende cinematografiche abitate da parecchi personaggi demoniaci. C’è l’uomo potente e vizioso che compra e possiede le persone chiedendo tremendi pegni di devozione, fino al controllo di vite e sentimenti, l’autolesionismo e il delitto. C’è la donna innamorata disposta a infliggersi dolore e violenza estrema pur di non essere ripudiata dal marito che dopo il suo ritorno a casa salva da un naufragio, pensa che si tratti di un’impostora, una sosia aliena in stile invasione degli ultracorpi. E c’è una setta pseudoreligiosa in cerca del messia capace di resuscitare i morti e mondare dai peccati terreni, che impone agli adepti l’abbandono di ogni altro legame, affettivo o carnale, pena la contaminazione.

Come dicevo, Lanthimos si produce in un’ottima partenza ma poi sbanda ed esce fuori strada, con danni simili a quelli, fatali, della guida spericolata di Emma Stone nell’ultimo episodio. Ma è un testacoda che possiamo perdonare, riconoscendo al regista greco l’ardimentosa indipendenza di rinunciare agli effetti speciali visti nel sontuoso Povere Creature e anche all’eccessivo (e strategicamente a servizio di marketing) spazio lasciato agli attori di fama di cui può disporre. Certo, è sempre un giocare facile, ma siamo sulla buona strada, come attesta il binomio di scrittura con Efthymis Filippou, storico sceneggiatore dei primi film.

Sembra quasi che Yorgos si stia stancato di costruire le sue opere a tavolino con le grandi produzioni e la macchina del mercato, e ci dica che nel suo futuro c’è un ritorno alle origini. Seguendo le piccole tracce mai scomparse e disseminate qua e là della sua originale poetica, dai vaticini della tragedia greca ai cori, il ballo, i personaggi surreali, l’esaltazione dei corpi e la cupidigia sessuale. Probabilmente, per uno arrivato dove oggi è Lanthimos non è davvero possibile riavvolgere il nastro fino a Kinetta. Ma la magnificenza di contenuti e confezione di Povere Creature è forse stata un’overdose anche per lui, che ora sta provando a depurarsene. Perché quella, lo abbiamo detto, era tutta un’altra storia, completamente diversa e il regista si è accorto che tra femminismo, fuochi d’artificio visivi da kolossal e alte prestazioni, aveva fatto uscire dal suo sguardo ciò che da sempre gli interessa, lo attrae, lo turba. Kinds of Kindness torna dove avevamo lasciato in sospeso quell’indagine – Kinetta, Alpeis, Dogthooth – e scruta nuovamente nella metà oscura delle relazioni umane. Sottomissione, violenza, sangue e cadaveri. E il Fato, la suprema entità che governa il caos divertendosi ad agitarlo e mandare in tilt uomini e donne. Lo sappiamo da millenni, e un po’ di più noi mediterranei. Questo destino spietato la tragedia ce lo ha consegnato come prezioso oracolo, chiedendoci di tramandare un eterno sacrificio del cervo sacro. Un rito brutale e mistico sugli altari della vita e la morte, di cui Lanthimos nel suo cinema più autentico è solenne cerimoniere. 




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